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Messina e il marketing: perché parlare di influencer “a cuor leggero” danneggia tutti

MESSINA – In un mondo sempre più legato a doppio filo ai social network, al digital marketing e a influencer di ogni tipo, con l’abuso di termini tecnici inglesi e forse perfino di qualifiche, c’è il rischio di sminuire la reale importanza di queste figure specializzate? Lo abbiamo chiesto ad Alba Terranova e Davide Panarello, due Social media strategist e Advertiser messinesi, reduci dalla convention nazionale di marketing “Offline”, che si è tenuta a Milano soltanto pochi giorni fa.

Influencer, social media manager, strategist e marketing. C’è un problema di “riconoscibilità” per queste professionalità altamente specializzate?

“C’è sicuramente un enorme problema, prima ancora che di riconoscibilità, di reale comprensione del marketing e poi di tutta una serie di professionalità nuove che afferiscono a questo settore e che sono nate come conseguenza dell’esplosione del digitale e dei social network. Quando le aziende hanno iniziato ad utilizzare i social network per fare business sono nate tutta una serie di figure professionali che fino a pochi anni fa non esistevano e che per i non addetti ai lavori sono sicuramente difficili da riconoscere come tali e da identificare. A dire la verità chi ha fatto parte di questo processo di innovazione ha avuto non poche difficoltà a tracciare i confini della propria stessa professione e darsi un nome, insomma dire che sei un ‘Social Media Strategist’ non è così semplice come affermare di essere un architetto”.

“È stato, ed è tuttora, un processo di adattamento delle tradizionali figure di operatori di marketing che si è evoluto di pari passo alle innovazioni tecnologiche e che è in continuo divenire. Social Media Strategist, Social Media Manager, Community Manager, Advertisor, Influencer, Content creator (ma potremmo citarne ancora decine) sono termini che anche gli imprenditori, grandi o piccoli che siano, fanno fatica a comprendere così come si fa molta fatica a capire cosa faccia concretamente chi si occupa di strategia o creazione di contenuti e l’impatto che gli influencer hanno sul business delle attività e sulle scelte d’acquisto dei consumatori”.

Perché parlare di influencer “a cuor leggero” è un danno per l’intero comparto?

“Parlare di influencer a cuor leggero è un danno principalmente per gli imprenditori e per chi ancora fatica a comprendere cos’è, cosa fa e quale contributo può dare un influencer ad una qualsiasi attività imprenditoriale. Quando si pronuncia la parola ‘influencer’ automaticamente si pensa a persone famose con svariati milioni di follower che apparentemente non fanno nulla se non pubblicizzare prodotti che ricevono gratuitamente. Persone che hanno avuto un’intuizione prima di altri e che sono riuscite a crearsi un seguito affezionato e che ogni giorno dedicano molte ore, probabilmente più delle 8 ore di lavoro d’ufficio, alla creazione di contenuti che pubblicano sui propri account. Certamente le collaborazioni con questi big di settore sono accessibili a grandi aziende con grandi budget che hanno un tornaconto economico altrimenti non continuerebbero ad investire in questo ma ciò non deve farci cadere nell’errore di credere che siano influencer solo coloro che hanno un seguito enorme”.

“Gli influencer possono essere anche macro, micro o nano. Anche profili con poche migliaia di follower in una specifica nicchia possono portare risultati importanti non solo e non tanto in termini di conversioni ma anche in termini di awareness, costruzione della brand identity e specialmente nella creazione dei contenuti. Sono proprio i piccoli influencer, capaci di produrre contenuti di alto valore ad essere una possibile risorsa per le piccole aziende e le attività locali che molto spesso devono fare i conti con una difficoltosa creazione di contenuti per smaccata ritrosia nel mostrarsi in foto e video, a parlare dinanzi a una telecamera o semplicemente per la difficoltà di approcciarsi a un nuovo strumento in cui mettersi in gioco in prima persona. Ecco che i content creator e i micro e nano influencer diventano risorse preziosissime in grado di contribuire a raccontare il brand e il prodotto o servizio che questo propone”.

Messina come risponde a questo genere di profili professionali?

“Messina, come un po’ tutta Italia a dir la verità, deve fare i conti con un settore nuovo che può aiutare davvero le attività a fare la differenza sul mercato ma che si fa troppa fatica a comprendere.
Dalla mia esperienza posso dire che la gestione dei social media è qualcosa che si intuisce essere importante ma non c’è assolutamente la reale comprensione di cosa voglia dire creare una strategia, un piano editoriale, un contenuto o fare analisi dei dati e advertising. Questo porta gli imprenditori a sottovalutare l’importanza di questo tipo di lavoro e addirittura spesso, pur affidando ad agenzie e freelance il compito di gestire i propri canali social o in generale il digital marketing dell’azienda, a boicottarsi da soli ad esempio rimandando analisi dei dati, procrastinando la creazione di nuove strategie e del ped”.

“Gli influencer vengono considerati invece come degli scrocconi e vengono guardati con molta diffidenza ma questo credo dipenda principalmente dal fatto che molte persone hanno fatto letteralmente carte false per ottenere i follower come ad esempio comprarli, cosa che ha impaurito le aziende portandole ad escludere la possibilità di utilizzarli nelle loro strategie di marketing. Personalmente ritengo che le campagne di influencer marketing e la collaborazione con i content creator possa costituire una risorsa importante che va inserita all’interno di una strategia di social media marketing da parte di operatori di settore specializzati. Sono proprio loro ad avere le competenze per poter capire se l’influencer è autentico o meno e se il content creator è in linea con il brand ma anche e soprattutto per integrare queste figure all’interno della strategia di comunicazione aziendale”.