MESSINA – Entrare nel cuore dei problemi. Smetterla di essere preda di dibattiti continui su cordoli, piste ciclabili e isole pedonali, “accusati” di ogni nefandezza. Tutti strumenti a cui a volte si attribuiscono le cause d’emergenze che meriterebbero un’analisi libera da queste illusioni. Le cause della crisi economica sono tante e tutte legate alle scelte strategiche, si fa per dire, assunte almeno negli ultimi trent’anni dalle classi politiche nazionali, regionali e cittadine. Scelte che chiamano in causa politica, imprenditoria e sindacati. A tutto questo s’aggiungano le tempeste finanziarie degli anni Duemila, stile “Grande depressione”, e la trasformazione dell’economia nel mondo globalizzato.
Il rischio, insomma, è di puntare il dito su cordoli e isole pedonali per non vedere il baratro. E così si rallentano quei processi virtuosi di assunzione di responsabilità, e necessità di fare squadra a livello politico sindacale e imprenditoriale, per cercare d’invertire la tendenza. Osserva la Cgil Messina, certificando una situazione che di certo non è nuova: “Il tasso di natalità è in caduta libera e su questo le amministrazioni pubbliche, a partire dalla Città metropolitana e dai Comuni, dovrebbero interrogarsi sulla loro capacità di fornire servizi e misure per trattenere i giovani che fuggono alla ricerca di opportunità di vita e di lavoro migliori. O anche per includere fette crescenti di popolazione intrappolate in dinamiche di disoccupazione, precarietà e inattività che si traducono in esclusione sociale. Ma l’altra faccia della medaglia della denatalità è l’invecchiamento della popolazione”.
A sua volta, il Comitato provinciale Arcigay Makwan ha scritto all’amministrazione comunale e al Consiglio: “A Messina c’è un grave disagio sociale e servono interventi mirati per rimediare all’abolizione del Rdc, il reddito di cittadinanza”. Nulla di nuovo sotto al sole ma, senza un progetto sociale di trasformazione economica e di welfare, di lavoro e concreta innovazione, il sud continuerà a morire. E di Messina non rimarrà traccia.
Lo ricordiamo spesso: in più di dieci anni, in base all’Istat, la città ha perso 25mila abitanti. Numeri da record, con un altissimo tasso di disoccupazione giovanile. Negli ultimi dodici anni sono andati via dalla Sicilia circa 310.000 abitanti. Di questi, circa 35.000, con un’età compresa tra i 18 e i 39 anni, hanno lasciato la provincia. Da aprile a giugno, compreso il territorio della Città metropolitana, hanno chiuso 1768 imprese. Abbiamo pure un incremento notevole del costo della vita. Oltre il 6 per cento rispetto all’anno precedente. E, in uno scenario in parte sudamericano, con le periferie storicamente abbandonate, ai margini, Messina e provincia registrano la spesa più alta in Sicilia per il gioco d’azzardo online.
E il lavoro da creare? Anche questo lo ripetiamo spesso e non ci stancheremo di farlo: fiscalità di vantaggio, Zes (Zone economiche speciali), formazione e occupazione, riapertura di negozi e botteghe a prezzi non proibitivi, imprese digitali, investimenti massici in servizi e infrastrutture, progettazione europea, burocrazia e amministrazioni all’altezza dell’impegno. Serve un piano straordinario. E la politica locale deve, oltre a progettare a lungo respiro senza perdere l’attenzione alla quotidianità, incalzare i governi regionali e nazionali.
In questo quadro allarmante, in ambito sociale ed economico, di tutto abbiamo bisogno che di dibattiti tra guelfi e ghibellini sui cordoli. Lì dove c’è necessità di correttivi, dai parcheggi all’incremento del trasporto pubblico locale e i servizi per i più deboli, s’intervenga. Ma immaginare Messina ancorata a vecchi modelli è mortifero.
Smettiamola d’invocare il ritorno a un passato, e ancora un presente, di caos e disoccupazione. Un’idea di futuro potrebbe salvarci. Ma se a tutti livelli, dalla politica e l’imprenditoria ai sindacati, le associazioni e i cittadini, ne saremo capaci.