MESSINA – Se in Calabria la ‘ndrangheta si presenta come una organizzazione unitaria, secondo la Direzione investigativa antimafia, a Messina lo scenario resta molto più frammentato. E’ questo che emerge dal dossier della Dia relativo ai primi sei mesi del 2022, che conferma gli equilibri in atto negli ultimi decenni, nella provincia messinese e in città, e indica ancora una volta che più di mafia si deve parlare di mafie, per il territorio peloritano.
La fotografia scattata dal gruppo interforze che si occupa di arresti, sequestri e controlli sugli appalti in odore di criminalità organizzata ribadisce che, come gli anni precedenti, sul versante tirrenico della provincia le famiglie sono organizzate secondo la struttura di Cosa Nostra palermitana, mentre sulla zona jonica predominano le ramificazioni delle famiglie catanesi. Messina città resta un’altra “storia”: diversi gruppi non familiari ma rionali, che si spartiscono le zone e subiscono l’influenza della ndrangheta calabrese dalla quale dipendono per il più lucroso dei business: la droga.
Sul versante tirrenico, quindi, tramite Mistretta ad avere l’ultima parola è ancora il clan di San Mauro Castelverde, da cui dipendono anche i tortoriciani (compreso il gruppo dei batanesi) e i barcellonesi (cui fanno capo la frangia dei mazzarroti e il gruppo di Milazzo).
Le più rilevanti operazioni dei primi sei mesi dello scorso anno confermano quindi questo quadro. E infatti nel 2022 gli oltre 80 arresti tra Barcellona e Milazzo dei Carabinieri e della Direzione distrettuale antimafia hanno svelato: che i boss continuavano a controllare i principali affari, dalle estorsioni alle sale da gioco e la prostituzione, e che erano interessanti a rinsaldare l’alleanza tra le loro rispettive famiglie per tornare alla “cassa comune” dei proventi e alla divisione per zone dello spaccio di droga, mirando a riportare sotto il controllo barcellonese anche le filiere di pusher della zona di Milazzo. ll potere dei vecchi nomi “pesanti” del clan, riorganizzati nel nuovo triumvirato, condizionavano anche la vita politica locale.
Sui Nebrodi, le indagini hanno svelato la capacità della mafia agricola di fare affari e accaparrarsi ingenti flussi di finanziamenti pubblici, anche europei. Lo aveva già indicato l’operazione Nebrodi nel 2020, lo ha confermato il sequestro milionario della Dia alla fine del maggio 2022 a carico di un soggetto legato ai tortoriciani.
Sulla zona jonica continuano a dominare gli emissari delle famiglie catanesi e in particolare il clan Cinturino di Calatabiano, che controllano le attività economiche e forniscono lo stupefacente agli spacciatori locali. E non disdegnano i “vecchi metodi” violenti, mettendo nel mirino anche le forze dell’Ordine. Il 30 giugno 2022 è scattata l’operazione Nerone 2: 6 arresti dei Carabinieri a carico di soggetti, già noti, che mettevano letteralmente a ferro e fuoco la zona di Forza d’Agrò per imporre il pizzo e han dato fuoco all’auto di due carabinieri.
Il 18 maggio 2022 invece a Moio Alcantara vengono arrestati il sindaco, il vice sindaco e altri soggetti, tra i quali un ex amministratore della vicina Malvagna, accusati di essere “pilotati”, per la spartizione dei lavori pubblici, da un soggetto legato ai Cinturino di Calatabiano. L’operazione “Affari di famiglia” è poi sfociata nello scioglimento del comune di Mojo per infiltrazioni mafiosi.