Le storie degli ospiti, le gioie dei congedi, il dramma delle morti. La Lelat (Lega lotta aids e tossicodipendenza) compie trent’anni. Una storia iniziata nello studio di Annamaria Garufi, col supporto dei volontari, di padre Riccardo Cardullo e di padre Francesco Montenegro, oggi cardinale.
“Poi la Provincia ci diede un piccolo contributo, sufficiente per affittare una casetta a Bordonaro – racconta la Garufi – che non poteva bastare per i 27 ospiti ma almeno aveva una cucina per mangiare insieme. Cinque anni dopo, con un contributo più sostanzioso stanziato dal Comune (giunta Providenti), abbiamo affittato una sede grande a Santa Lucia sopra Contesse, anche con un utilissimo orto. Nel 1999, siamo riusciti finalmente a fare le lunghe pratiche per la convenzione con l’Asp e diventare ente ausiliario. La vita a Santa Lucia era durissima, attacchi, attentati continui. La malavita locale non ci voleva”.
Nel 2006, finalmente, il Comune (commissariato) diede una sede adatta definitiva a Mangialupi. “Anche qui siamo stati rifiutati e abbiamo subìto attentati malavitosi. Ci hanno incendiato la struttura, minacciato, rubato tutto, siamo un corpo estraneo che rompe equilibri. Viene Don Ciotti, la città sana si schiera al nostro fianco. Sono tempi duri. Poi il territorio lentamente inizia a considerarci una risorsa e lentamente l’ostilità si placa.Qui la mia mente galoppa, si riaccendono speranze. Qui è ipotizzabile completare il sogno di aggiungere al nostro programma un modulo residenziale, gli spazi ci sono ma, delusione cocente, l’Asp non accetta. Cocciuta nel non voler rinunciare al nostro progetto, tento di aprirlo lo stesso con i fondi del semiresidenziale, ma non sono sufficienti. I ragazzi arrivano, il programma funziona grazie alla generosità degli operatori, per mesi senza stipendio. Dopo due anni pieni di debiti, siamo costretti a chiuderlo. Questa rimane la parte irrealizzata del nostro sogno, poter prendere anche i ragazzi senza famiglia”.
“Oggi, però, c’è sempre meno volontariato, io inizio a sentirmi sola. Per questo trentennale contavo di coinvolgere tutti i protagonisti della nostra storia, ricontattando tutti i volontari del passato e tutti i ragazzi congedati, ma il Covid ha deciso per noi. Celebreremo solo una Messa per i ragazzi. L’anno prossimo compirò 80 anni, spero di poter avere la certezza che la comunità continuerà a servire la città con lo stesso impegno e lo stesso cuore di questi 30 anni”.