La dissennata gestione delle Società partecipate ha messo a dura prova nel tempo gli equilibri finanziari del Comune di Messina e oggi rischia di pregiudicare l’approvazione del Piano di riequilibrio presentato con l’intento di evitare il dissesto. A questo proposito la relazione della Corte dei Conti sul documento in ultimo predisposto dalla Giunta De Luca con l’intento di evitare il dissesto, esprime giudizi che non lasciano spazio ad equivoci. Il magistrato Istruttore, Adriana Parlato, nel suo corposo e dettagliato lavoro evidenzia senza mezzi termini come i rapporti economici tra l’ente di Palazzo Zanca e le sue partecipate siano poco chiari e presentino notevoli componenti di criticità.
Il primo elemento che viene evidenziato riguarda il numero di enti collegati che non risulta definito con precisione. La Corte rileva, infatti, che “l’elenco degli organismi partecipati esistenti al 31 dicembre 2019, inoltrato in esito alla richiesta istruttoria volta ad ottenere un quadro completo, contiene il riferimento a soli 17 soggetti. Invece, la deliberazione consiliare n. 613/2020, avente ad oggetto la revisione periodica delle partecipazioni pubbliche alla data del 31 dicembre 2019 riporta 22 società/enti.
Un secondo profilo riguarda l’applicazione dell’art. 21 del D.Lgs. n. 175/2016 (Legge Madia), secondo il quale “nel caso in cui societa’ partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali presentino un risultato di esercizio negativo, le pubbliche amministrazioni locali partecipanti, che adottano la contabilita’ finanziaria, accantonano nell’anno successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione.
“La ratio della norma – afferma la Corte – corrisponde ad un’esigenza di salvaguardia dei futuri equilibri di bilancio dell’ente e di responsabilizzazione degli enti soci.”
Purtroppo, però, la Corte ha dovuto riscontrare la “totale assenza di accantonamenti al 31 dicembre 2018: si tratta di una palese violazione del principio della prudenza, la cui applicazione avrebbe suggerito di accantonare le risorse necessarie a far fronte all’evenienza di rischi potenziali.”
La relazione della magistratura contabile scende, poi, nei dettagli, facendo riferimento”alla società in house “Amam spa”, che ha concluso il 2018 con una perdita di esercizio molto elevata (pari ad euro 11.442.926,00, di tale entità da condurre il patrimonio netto della società ad un valore negativo, pari ad euro – 1.569.755)”. In presenza di questo risultato di bilancio, l’azienda ha beneficiato – prosegue la Corte – “di un’onerosa ricapitalizzazione concretizzatasi nella rinuncia del Comune a dividendi deliberati negli esercizi 2013/2017, non ancora distribuiti, per circa euro 7,4 Mln. e nella restituzione di dividendi percepiti dal Comune in anni precedenti, per euro 1,2 mln. A favore dell’Amam intervenivano anche “altri impegni per ricapitalizzazione pari ad euro 5.000.000.”
Un’ulteriore criticità attiene al rinvio dell’accantonamento correlato alle perdite subite dalla società Atm spa e dall’azienda speciale Messina social City rinviate al 2021.
Per quanto concerne il 2019, la Giunta De Luca ha inviato alla Corte dei Conti un prospetto “che avrebbe dovuto dimostrare la congruità dell’ammontare di euro 850.000 accantonato al fondo volto a fronteggiare le eventuali perdite delle società partecipate”. Tale prospetto secondo la Corte “non ha assolto alla propria funzione, dal momento che non contiene la totalità degli organismi partecipati, che nulla riferisce sulle modalità di calcolo adoperate e che è privo di un raccordo con il risultato di amministrazione per il 2019″.
E’ il caso di sottolineare che dal prospetto in questione risulta che le partecipate elencate hanno accumulato perdite complessive per 12,3 Mln. di Euro nel 2017, 11,7 Mln. di Euro nel 2018 e 2 Mln. di euro al 31.12.2019.
“Ciò premesso – recita la relazione della Corte dei conti – occorre che l’ente fornisca documentati chiarimenti in merito ai profili sopra esaminati e che illustri compiutamente la metodologia adoperata per effettuare l’accantonamento presente sul risultato 2019, riferendosi a tutti gli enti partecipati e giustificando le ipotesi in cui in cui non si è provveduto pur in presenza dei relativi presupposti”.
La relazione della Corte dei conti sul Piano di riequilibrio targato De Luca si sofferma anche sui rapporti economici intercorrenti tra Comune e Partecipate. A tal proposito evidenzia innanzitutto che “i prospetti dimostrativi di debiti e crediti reciproci intercorrenti tra l’ente e gli organismi partecipati, che avrebbero dovuto essere asseverati dai rispettivi organi di revisione, sono stati inviati solamente con riguardo ad 11 soggetti (Amam spa, atm in liquidazione, Ato ME 3 in liquidazione, Innova Bic in liquidazione, Messina servizi bene comune spa, il Tirone spa in liquidazione, SO.GE.PAT srl, Srr Messina area metropolitana, A.RIS.ME’, Messina Social city e Patrimonio Messina); i prospetti in questione, inoltre, non contengono l’asseverazione dell’organo di revisione dell’ente mentre quella promanante dai revisori delle partecipate dovrebbe essere rintracciata in note di cui viene indicata la data e il protocollo di ingresso.”
In ogni caso la Corte denuncia che “l’esame della documentazione – anche per quegli enti di cui sono stati forniti i prospetti – non consente un’agevole ricostruzione dei rapporti di debiti e crediti, dal momento che la loro somma algebrica, in alcuni casi, non corrisponde esattamente al relativo saldo complessivo.”
In merito alle discordanze contabili tra Comune e Partecipate, soffermandosi sulle evidenze di bilancio al 31.12.2019, “la situazione più controversa – dice la Corte – si riferisce alla società “Ato ME 3 spa in liquidazione”, che vanta un credito di euro 15.614.260,66, a fronte di un debito registrato in contabilità dall’ente pari ad euro 78.514,40; la differenza di euro 15.535.746,26, secondo quanto dichiarato nel prospetto, sarebbe riconducibile a debiti fuori bilancio da riconoscere, ma, nel riscontro alla nota istruttoria, viene precisato che si tratta di posizioni oggetto di contenzioso, indicandosi il più ridotto importo più di euro 14.637.604,62.
L’Atm in liquidazione vanta un credito di 4.272.744,78 euro iscritto nella contabilità del comune per 1.528.981,72 euro. Il disallineamento “sarebbe dovuto all’allocazione (non perfettamente comprensibile) di parte del debito nell’avanzo vincolato, ad eccezione della somma di euro 526.427,50, inserita tra i debiti fuori bilancio da riconoscere”.
Per Amam Spa la differenza di euro 6.696.347,06 riguarda crediti vantati dalla società e non rappresentati nella contabilità dell’ente, indicati come in corso di riconoscimento.
Le divergenze fra la contabilità dell’ente e quella della Messina servizi Bene Comune Spa, di non semplice quantificazione, dato il ripetersi delle difficoltà di riconciliare con precisione i saldi reciproci, oscillanti fra euro 620.000,00 e euro 390.000,00 circa, deriverebbero da impegni registrati nel 2020 per prestazioni svolte a dicembre 2019 (con apparente violazione del principio di competenza finanziaria); per il più limitato importo di euro 300.000,00 oltre Iva veniva comunicato che era “… in corso di predisposizione un accordo per la composizione dell’allineamento contabile, da effettuare entro la fine dell’anno successivo al quello di riferimento” (non è chiaro se siano stati registrati i correlati impegni).
La Relazione della Corte dei conti mette, inoltre, l’accento su un rischio non adeguatamente presidiato che incombe sul Comune e così si esprime: “Peraltro, né nel piano né attraverso l’integrazione istruttoria, sono stati forniti elementi idonei a scongiurare la presenza di oneri latenti derivanti dalle partecipate, oltre che in esito al contenzioso che le contrappone al comune, in riferimento a poste creditorie disconosciute, anche per gli effetti derivanti dal coinvolgimento dell’ente nell’ambito di procedure concorsuali, sia come socio che come debitore del soggetto sottoposto alla procedura.” In sostanza il Comune non può tirarsi fuori dalle responsabilità economiche connesse alle sue partecipazioni.
“La partecipata “Azienda trasporti Messina in liquidazione”, ha goduto – evidenzia la Relazione della Corte dei Conti – di ingenti contributi in conto esercizio, pari ad euro 14.278.000 nel 2017, euro 13.365.000 nel 2018 ed euro 13.483.303,79 nel 2019.
In ordine a questo aspetto, “non si intravede – sottolinea la Corte – il disegno sottostante al versamento di contributi in favore dell’Azienda speciale Atm, tanto più nell’immediata precedenza della delibera n. 72 del 22 novembre 2018, che l’ha posta in liquidazione, e anche in epoca successiva, con contemporanea capitalizzazione di una società, l’Atm Spa, istituita nel 2019, di analogo oggetto”.
Ritornano poi le perplessità sulle procedure di costituzione di MessinaServizi con riferimento alle disposizioni in materia della Legge Madia. A tal proposito la Corte sottolinea che “con riguardo alla sottoposizione alla procedura fallimentare della Messinambiente, appare dubbia la possibilità di mantenere quote di partecipazione in una società, la “Messina servizi Bene Comune S.p.A.”, con oggetto che sembra sovrapponibile alla prima”. Si frappone a questa possibilità l’art. 14, comma 6, del Tusps (Testo unico Società partecipate), noto, appunto, come Legge Madia. Tale disposizione normativa recita così: “Nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita”. Tale questione si pose già nel momento in cui la giunta Accorinti predispose gli atti per la costituzione della nuova società di gestione dei rifiuti.
In effetti la stessa segretaria generale Rossana Carrubba nel parere fornito a novembre 2018 esprimeva sostanzialmente le stesse riserve adesso ribadite dalla Corte dei Conti dichiarando, peraltro, che la ratio della disposizione finale di divieto del Tusp è rappresentata dalla volontà legislativa di obbligare l’ente pubblico a ricorrere al mercato, una volta che si sia verificato un “fallimento dell’intervento pubblico”.
A fronte di una cogente necessità di trasparenza rispetto al quadro complessivo dei rapporti con le Partecipate, il Comune è chiamato dalla Corte dei conti a “comunicare i flussi finanziari anche per i restanti enti e società e dissipare, con documentati chiarimenti, i dubbi sopra avanzati, anche con riferimento all’osservanza del divieto di soccorso finanziario.
A questo proposito la Corte dei conti rileva che il divieto di soccorso di finanziario è “espressivo di un principio generale secondo cui deve ritenersi fortemente limitata per le amministrazioni l’ammissibilità di interventi a sostegno di organismi partecipati ed enti strumentali, specialmente qualora non vi sia una prospettiva di recupero dell’economicità e dell’efficienza della gestione”. Tutto ciò al fine di “assicurare un corretto uso delle risorse pubbliche e per garantire la libera concorrenza, superandosi la logica del salvataggio incondizionato di strutture e soggetti in situazione di precarietà economico-finanziaria. Per quanto d’interesse, il tendenziale divieto di soccorso finanziario deve intendersi in un senso ancor più rigoroso nei confronti di società ed enti posti in stato di liquidazione.”
Il sindaco De Luca, dunque, anche su questo, come su altri aspetti, è chiamato a spiegare il senso delle sue scelte alla Corte dei Conti che opera sulla base dei numeri, notoriamente testardi e capaci, se si sanno leggere, di raccontare con chiarezza la realtà dei fatti.
Pippo Trimarchi