L’ultimo film di Pedro Almodóvar è stato presentato in concorso alla recente Mostra Internazionale di Venezia ed è uscito nelle nostre sale il 28 ottobre. Taluni critici hanno notato che il regista conferma qui il vivo interesse per la figura della “madre imperfetta”, adottando comunque un registro narrativo tale da oltrepassare i toni melodrammatici, a lui consoni, per assumere un accento più grave e talvolta tragico.
Il film, quasi esclusivamente al femminile, prende avvio dal dialogo tra due donne che condividono la stanza d’ospedale nell’attesa del parto. La più matura è Janis (Penélope Cruz), fotografa quarantenne che accetta con animo grato la maternità: l’aveva desiderata intensamente, nella consapevolezza che ormai il proprio orologio biologico le lasciava poche chances di gravidanza. L’altra è Ana (Milena Smit), un’adolescente fragile che vive con angoscia la maternità. L’amicizia sorta in ospedale si trasforma con il tempo in un vero e proprio sodalizio tra Janis e Ana, cointessuto di intesa, aiuto reciproco e complicità.
Un altro personaggio di rilievo è la madre di Ana, Teresa. Costei non è neppure una madre im-perfetta, in quanto si dimostra pressoché assente dalla vita della ragazza. Tra gli spettatori, in Teresa qualcuno riconosce l’attrice italo-spagnola Aitana Sanchéz-Gijón, già interprete di Victoria, protagonista – accanto al marito putativo Paul, alias Keanu Reeves – del cult romantico Il profumo del mosto selvatico.
Madres paralelas si segnala per il ritmo disteso del disegno narrativo e la qualità della recitazione, posta in rilievo dalla critica. Al riguardo, non sorprende l’attrice prediletta di Almodóvar, Penélope Cruz, ormai al settimo film con il regista e, come sempre, felicemente fedele a se stessa. Non è da meno la venticinquenne Milena Smit, perfettamente a proprio agio nell’interpretare un’adolescente smarrita, anche grazie al fisico efebico e ai finissimi lineamenti del viso. Va menzionata anche la bravura di un’attrice cara ad Almodóvar, Rossy de Palma, nel ruolo della manager Elena. L’attrice (soprannominata “dama Picasso”, per l’iconica asimmetria dei tratti del volto) è molto popolare in Spagna e non del tutto sconosciuta nel nostro Paese. L’unico personaggio maschile importante è l’antropologo forense Arturo, interpretato dal poliedrico Israel Eljialde.
Le vicende delle due protagoniste si intrecciano con uno degli eventi più tragici della guerra civile spagnola (1936-1939): la fucilazione dei repubblicani (o presunti tali) da parte dei franchisti, vincitori del conflitto.
Nel luglio del ’36 – a pochi giorni dall’alzamiento delle truppe di Francisco Franco contro il Governo legittimo – è stato fucilato e seppellito in una fossa comune, tra gli altri, un avo di Janis. Si tratta di uno degli innumerevoli eccidi causati dalla guerra civile tra franchisti e repubblicani. Poiché il loro Paese è rimasto estraneo alle due guerre mondiali, per gli spagnoli – anche ai nostri giorni – il conflitto fratricida costituisce la Guerra per antonomasia. Pertanto, il loro “dopoguerra” è stato segnato da quasi quarant’anni di dittatura franchista, ovvero da un regime che ha “ingessato” la vita politica e civile della Spagna.
Dopo la morte del Generalissimo e la Transición alla democrazia, avvenuta verso la metà degli anni Settanta, nell’arco di pochi lustri la Spagna è diventata la nazione che tutti conosciamo. Si tratta di un Paese che ha sostanzialmente varcato il gap che la separava dal resto dell’Europa, assurgendo, anzi, a laboratorio di idee innovative nonché di ardite sperimentazioni nei più svariati ambiti della società e della cultura. In fondo, lo stesso Almodóvar è espressione – iperbolica, sarcastica e dissacrante più di qualsiasi altra – della Spagna destatasi dal torpore causato dall’ “ingessatura” imposta ad essa dalle vicissitudini storiche.
In Madres paralelas, il riferimento alla guerra civile intende richiamare l’attenzione – degli spagnoli, ma non solo – sulle tragedie arrecate ai popoli dalle dittature del Novecento. Per Almodóvar, la Spagna non può “chiudere i conti” con il franchismo affermando l’esigenza di un oblio salutare. L’oblio non salva nessuno e, anzi, può rendersi complice di criptiche riproposizioni di un passato che non passa mai del tutto. È bene, quindi, che le giovani generazioni – rappresentate nel film da Ana – sappiano di quel passato. «Per quanto si tenti di ridurla al silenzio, la storia si rifiuta di tacere», nelle parole dell’intellettuale uruguaiano Eduardo Galeano, richiamate nella chiusa del film. Nel complesso, Madres paralelas si rivela una pellicola di pregio, destinata ad assumere una rilevanza di primo piano nella filmografia, ormai quarantennale, di Pedro Almodóvar.
NUNZIO BOMBACI