MESSINA – Sempre più spesso si sente la frase riguardante una Messina da “raccontare in maniera diversa”. Un percorso lungo, che passa dalla cultura dei singoli cittadini e da una mentalità, quella della lamentela, che va azzerata o sfruttata per migliorare e migliorarsi. C’è chi già questo percorso lo fa, ognuno nel suo campo. Come la storia di Adriana Cannaò. Lei, laureata in Beni Culturali, dopo varie esperienze in Italia, tra Roma e l’Emilia Romagna, torna in riva allo Stretto e sfrutta le sue competenze anche per far questo: raccontare sui social le bellezze della città e della Sicilia, tanto a chi viene da fuori quanto a chi ci vive e non conosce ciò che osserva ogni giorno.
Tutto è partito da un blog e dalla voglia di scoprire chiese e musei nella Capitale. Poi, con il ritorno a Messina, il sito e i canali social si sono incentrati su cosa hanno da offrire la città e la Regione. Adriana non ha dubbi e per lei non c’è niente da invidiare ad altri luoghi d’Italia. Per questo continua a raccontare, mostrando storia, influenze culturali, dettagli e luoghi incantevoli che spesso non conoscono nemmeno i cittadini.
In pratica tutto è nato parecchi anni fa. Non pensavo di diventare una art sharer su Instagram. Lavoravo come pasticcera a Roma e mi sono resa conto di non essere mai abbastanza stanca, appena finito, per non andare a cercare qualche chiesa o museo. Ho deciso di aprire il blog a cui ho voluto dare connotazioni ironiche e critiche. Era il caso mostrare anche le lacune e che non tutto è oro ciò che luccica.
Poi sono tornata in Sicilia e mi sono trovata a passeggiare per la città e ho capito di voler fare la stessa cosa. Volevo far vedere quanto Messina ha. Ha tantissimo e non ha nulla da invidiare ad altre città. Vorrei che la gente fosse più consapevole della ricchezza che abbiamo. Non è un discorso campanilista, ma la realtà è che non siamo slegati dall’arte nazionale o internazionali. Grandi autori e grandi firme hanno avuto a che fare con la città, solo che molti non lo sanno.
Penso entrambe le cose. Se ai ragazzini oggi non si spiega il valore di ciò che abbiamo si continuerà a pensare che il nostro patrimonio sia provinciale, poco importante. Quindi da un certo punto di vista sì, è un fattore culturale, ma è anche vero che non c’è molto know how. Anche il fatto di restare radicati in una concezione molto chiusa non aiuta. Penso che sia una grande pecca della città. Nel momento in cui si comincia a capire che bisogna aprirsi in maniera diversa, non c’è alcuna difficoltà: abbiamo beni culturali e naturali, storie, leggende, nulla da invidiare a nessuno. Penso sia un problema culturale che ha plasmato la mentalità del messinese, che sottovaluta ciò che ha e le bellezze della città.
C’è troppa chiusura, si pensa sempre “io faccio il mio, tu il tuo”. Non c’è mai voglia di fare rete, mentre bisognerebbe creare sinergie. Ci guadagneremmo tutti, anche dal punto di vista artistico e culturale. Ho lavorato anche a Cesenatico, ad esempio. Lì riescono a valorizzare il Mar Adriatico, che dal vivo non è affatto come il nostro mare. Lì, in un campeggio, ti offrivano tutto: biglietti per musei, gite, persino biglietti per andare in barca a vedere le trivelle. Mi dispiace questo: non abbiamo la capacità, l’apertura mentale, di fare rete. Invece di creare collaborazione si crea concorrenza o diffidenza.
Non possono sceglierne uno, troppo difficile. Personalmente avendo lavorato al bookshop del Teatro Vittorio Emanuele sono molto legata al teatro stesso. Poi ogni volta che posso vado al Museo Regionale e mi incanto davanti ad Antonello e Caravaggio. E ancora la Chiesa dei Catalani: anche quando sono di corsa, per strada, mi prendo 2 o 3 minuti per girarci intorno e osservarla. Mi affascina l’influenza delle culture, che viene molto valorizzata altrove, pensiamo a Palermo. Qui è molto presente. La contaminazione delle altre culture mi piace tanto.
Una maggiore consapevolezza. La fine di questo assurdo vittimismo da terremoto. Bisogna capire anche che non tutto il “nuovo” è sbagliato. Spesso è lì che si trovano nuovi stimoli per valorizzare il passato. Qui invece c’è molto diffidenza, mentre penso all’epoca di Lucio Barbera o del futurismo, quando Messina sprizzava vitalità dal punto di vista artistico e culturale. La vorrei vedere brillare, brillante.
Il messaggio ai messinesi? Vorrei si guardassero intorno, invece di dire che a “Messina non c’è nenti”. Mi piacerebbe ci si guardasse intorno, passeggiando per strada, guardare le chiese, entrare, domandare. Serve maggiore osservazione ma anche più cura, perché è così che si dimostra di capire il valore della città. Vorrei che le persone diventassero consapevoli di come Messina è arrivata a ciò che è oggi, della sua storia e di quanto può dare.