Società

Messina. Viaggio dentro al carcere di Gazzi, una realtà spaccata a metà

Messina – È considerato un carcere “modello” quello di Messina Gazzi. O, meglio, dove i detenuti, grazie a un’ottima gestione e sforzi enormi degli operatori, vivono molto meno peggio rispetto ai detenuti di altri penitenziari, in particolare rispetto a quelli siciliani. Un dato non da poco, alla luce della piega drammatica presa dall’emergenza carceri in tante strutture italiane, dove rivolte e suicidi sono tragicamente sempre più frequenti.

Vita da detenuti. E da detenute

Gazzi è però un carcere spaccato a metà, dove le detenute donne sembrano stare peggio degli uomini e dove anche tra gli uomini ci sono nette differenze. A pesare è soprattutto il fatto che si tratta di una struttura pensata per ospitare i reclusi “transitori”, dove ci sono invece quasi la metà degli uomini condannati in via definitiva e quasi tutte donne “di passaggio”, per lo più detenute lontano da casa.

Chi cerca il riscatto

Se da un lato la direttrice Angela Sciavicco e gli operatori cercano di coinvolgere tutti in tante attività socializzanti e rieducative – dal progetto della compagnia teatrale curata da Daniela Ursino a diversi corsi di formazione – la verità è che quasi la metà dei detenuti non è interessato a tali attività, finendo per “disturbare” chi al contrario si impegna in azioni in grado di fornire una prospettiva di reinserimento sociale, una volta scontata la pena. E che, soprattutto, contribuiscono a costruire una “routine di normalità” che rende più accettabile e vivibile la detenzione.

Il reparto femminile

L’apatia e la demotivazione, nei confronti delle attività di socializzazione, sembra caratterizzare anche gran parte delle detenute, la maggior parte di loro scarsamente scolarizzate e in alcuni casi depresse, “Disagio e solitudine”: sono questi gli aggettivi adoperati dalla Garante dei detenuti del Comune di Messina, Lucia Risicato, dopo il sopralluogo del settembre scorso al reparto femminile. Per molte di loro la detenzione è transitoria, sono lontane da casa e non possono vedere i loro affetti neppure durante i colloqui, non li sentono spesso. E hanno enormi difficoltà burocratiche che si sommano a quelle riscontrate per le cure e le visite periodiche. A parte il ginecologo che entra a Gazzi una volta a settimana, infatti, le altre visite da effettuare all’esterno sono una corsa a ostacoli, come e più dei malati non detenuti.

Come per gli uomini, tutte le celle destinate alle donne hanno frigo, ventilatore e non è mai mancata l’acqua, neppure quando il resto della città viveva l’emergenza estiva. Questo non basta, però, a cambiare le condizioni di vita delle circa 20 detenute ospitate, se poi non riescono neppure a sentire regolarmente le proprie famiglie lontane, o non riescono a ottenere i documenti necessari ad accedere a permessi ed attività.

Il paradosso della Tac e le cure negate

Le cure negate e le difficoltà logistiche sono quindi le emergenze del carcere di Gazzi, dove giace impacchettato nel deposito un apparecchio per le Tac da oltre 30 mila euro, che però non funziona, in attesa degli ok burocratici. Renderlo operativo, spiega la direttrice Sciavicco, costerebbe circa 200 mila euro di investimento iniziale. Una cifra che alcuna istituzione sembra al momento interessata a sostenere.

La piaga della droga dentro il carcere

L’altro aspetto critico evidenziato a più riprese è quello della droga. Anche a Gazzi, come in tutti i penitenziari, ne gira tanta, e gli angusti spazi di un carcere non sono certo i luoghi ideali per una disintossicazione. E sembra girare più nel reparto maschile che tra le donne. Lo spaccio in carcere è un fenomeno sempre più frequente su cui anche le forze dell’ordine hanno acceso i riflettori e lanciato l’allarme più volte, recentemente. E proprio per contrastare l’ingresso dello stupefacente nei penitenziari sono state effettuate le ultime retate, sia a Messina che a Barcellona.