MESSINA – Una ferita ancora aperta. Solo in parte la verità giudiziaria può rimarginarla. Al telefono, Vincenzo Agostino esprime un dolore e una rabbia non mitigati dai 33 anni di lontananza dall’uccisione mafiosa del figlio, il poliziotto Nino Agostino, e della moglie Ida Castelluccio, incinta, a Villagrazia di Carini. Oggi Agostino è a Messina per presentare il documentario “Io so chi siete”, a lui dedicato, al cinema Lux, alle 20.30, su iniziativa di Libera. La sua ostinazione contro ogni rassegnazione è rappresentata visivamente dalla barba e dai capelli non più tagliati, ormai da trentatré anni, fino a quando il velo degli ostacoli alla giustizia non sarà completamente sollevato.
Proprio a Nino Agostino e Ida Castelluccio è dedicato il presidio messinese di Libera, mentre il film di Alessandro Colizzi e Silvia Cossu racconta l’incessante impegno per conoscere autori e movente del delitto da parte di chi è stato definito “un monumento vivente al dolore di Palermo”.
La voce di Agostino è quella di un uomo messo a dura prova ma che non ha smesso di lottare. Parole semplici, le sue, ma dense di significato. «Mi piace incontrare gli studenti e confrontarmi con loro perché credo nelle nuove generazioni. È importante conoscere il passato e non perdere la memoria. Nel caso di mio figlio, con i documenti fatti sparire per depistare e le troppe menzogne, le complicità e le connivenze per impedire che la verità venisse fuori non possono essere dimenticate. La maggioranza di noi familiari delle vittime innocenti di mafia, che facciamo parte di Libera e siamo più di mille, non sappiamo perché siano stati uccisi», ricorda l’uomo.
«Avevo 52 anni quando è avvenuto il delitto e oggi ne ho 85. Mia moglie non è arrivata in tempo a vedere la prima condanna nel 2021, un pezzo di verità, e ad assistere al processo in corso. Augusta è morta nel 2019 e ho dovuto rispettare il suo desiderio. Nella sua tomba c’è scritto: “Una mamma in attesa di giustizia anche oltre la morte”. È inumano il comportamento che abbiamo subito. Non è giusto. Dall’89 fino alla recentissima riapertura delle indagini qualcuno, all’interno dello Stato, voleva occultare tutto», dichiara con veemenza, ma anche con profondo dolore, Agostino.
A tratti piange e si riprende solo quando pensa ai nipoti e in particolare a quello a cui è stato dato il nome del figlio. «Oggi ha 21 anni e mi segue ovunque. Per un miracolo, un messaggio di speranza, è nato in anticipo proprio il 5 agosto, in un giorno che era di morte per noi. Vengo volentieri a parlare anche del documentario, che racconta la mia storia, a cominciare dal titolo: “Io so chi siete”. Le parole di mia nuora ai suoi assassini. Una donna che è rimasta al fianco di mio figlio. Noi familiari non sapevamo nulla delle preoccupazioni che lei e mio figlio avevano a causa del lavoro di Nino. Avrei voluto progeggerli», sospira l’uomo, uno dei simboli di un’antimafia vera, fatta di memoria e credibilità.
Nella riapertura delle indagini, un ruolo importante è stato svolto anche dall’avvocato messinese Fabio Repici. «Il suo apporto è stato fondamentale», dice Agostino. Ricostruisce l’avvocato: «Il processo a carico di due imputati è nella fase del dibattimento, che si svolge davanti alla Corte di assise di Palermo. Nelle già numerose udienze celebrate sono stati sentiti molti testimoni e collaboratori di giustizia e sono anche state acquisite numerosissime intercettazioni disposte durante le indagini dalla Procura generale».
La sentenza emessa nel giudizio abbreviato dal giudice delle udienze preliminari di Palermo, il 19 marzo 2021, con una condanna in primo grado all’ergastolo nei confronti di una persona come mandante del duplice omicidio. Commenta l’avvocato Repici: «Dopo lunghi decenni di depistaggi e di afasia della giustizia, la sentenza ha avuto il sapore di un vero e proprio miracolo. È stato il coronamento della sovrumana lotta alla ricerca di verità e giustizia combattuta soprattutto da Vincenzo Agostino e dall’indimenticabile signora Augusta. A questo risultato si è arrivati grazie all’impegno dei magistrati della Procura generale di Palermo, sotto la lucidissima guida di Roberto Scarpinato, al quale ci eravamo rivolti nel 2017 chiedendo l’avocazione delle indagini, e all’operato degli investigatori della Dia di Palermo».
In base alla sentenza di primo grado emessa dal giudice Alfredo Montalto, l’uccisione di Nino Agostino e Ida Castelluccio sarebbe il risultato di una vera e propria azione di guerra studiata ed eseguita con l’utilizzo della capacità militare di Cosa Nostra e del controllo del territorio. In più, nelle carte processuali, emergerebbero false piste passionali e appunti decisivi del poliziotto fatti sparire, in modo da favorire l’oblio.
Per l’avvocato della famiglia, «il duplice omicidio Agostino-Castelluccio va collocato all’interno del gioco grande delle dinamiche criminali che ebbero avvio nel 1989 e trovarono poi conclusione nel 1992 con le stragi di Capaci e via D’Amelio».
Sulla base della lunga ricostruzione giudiziaria, Agostino avrebbe svolto, fuori dai propri formali incarichi come poliziotto del commissariato San Lorenzo, attività di ricerca dei principali latitanti di Cosa Nostra. Evidenzia Repici: «Questa attività si sviluppava in un’azione di sotterraneo coordinamento instaurato fra i servizi segreti civili (il Sisde) e la polizia di Stato».
Per l’avvocato, se il quadro giudiziario sarà confermato nei successivi gradi di giudizio e nell’attuale processo in corso, «Agostino, in questo contesto, divenne pericoloso testimone della collusione di pezzi di apparati di polizia e di intelligence con i vertici del mandamento mafioso di Resuttana. Nei mesi precedenti al fallito attentato all’Addaura, il poliziotto Agostino aveva instaurato un segretissimo rapporto di collaborazione con il magistrato Giovanni Falcone, il quale infatti il giorno dopo il delitto si presentò a sorpresa alla veglia funebre pronunciando due frasi inequivocabili: “Devo la vita a questi ragazzi” e “l’omicidio è stata un’azione commessa contro di me”. Per il giudice Montalto, come si legge nella motivazione della condanna di Madonia, almeno i primi due di questi fattori rientrano nella causale del delitto».
Nel frattempo, Vincenzo Agostino continua a incontrare studenti e a partecipare alle iniziative di Libera. In una foto, dal suo profilo whatsapp, lo si vede con papa Francesco e don Luigi Ciotti. Il suo appello alle nuove generazioni nasce da un’instancabile testimonianza incarnata dalla sua imponente figura, con i capelli e la barba non tagliati fino alla risoluzione definitiva del caso e le parole dal messaggio inequivocabile: «Lottate sempre per la giustizia e per liberare lo Stato da chi lo inquina, dai nemici della verità».