Mia nonna Sarina ha votato per la prima volta il 2 giugno del 1946. Uno degli aspetti che più emoziona della Festa della Repubblica è proprio questo: da quel giorno anche le donne hanno avuto il diritto di voto. Non so cosa possa aver votato quel giorno, se Monarchia o Repubblica. Né lei, né la nonna materna, nonna Celeste. Non so se hanno votato come “suggerito” dai loro mariti o nel segreto dell’urna abbiano fatto di testa loro. Ma fino ad allora erano cittadine con un diritto in meno. Nell’Assemblea Costituente entrarono anche donne, alcune delle quali hanno fatto la storia della nostra democrazia.
Strada facendo si è posto un altro problema: non basta il solo diritto di votare per raggiungere l’equità, ma occorre anche, come ci insegna la Costituzione, porre le condizioni per una parità reale. Ovvero il diritto di essere votate. E qui il discorso si è fatto più complesso ed oggi, 75 anni dopo quel 2 giugno, ci ritroviamo a interrogarci sempre su come il diritto di essere votato sia effettivo, pieno, e soprattutto raggiunto. Non sono mai stata una sostenitrice delle quote rosa, anche in virtù dell’uso perverso che ne hanno fatto gli uomini. Dopo le quote rosa è arrivata la preferenza di genere, che se non altro ha provato a porre rimedio al problema.
Ma anche in questo caso, soprattutto dalle nostre parti, abbiamo visto il proliferare di usi e costumi, anzi “malcostumi” che poco hanno giovato alla presenza delle donne in politica e nei ruoli chiave. La verità è che il diritto di essere votate (ed elette) è soprattutto un fatto culturale, fin quando l’Italia non compirà questo passo verso una società pienamente civile, resteremo sempre il Paese con meno presenza femminile in ogni dove. In un’equazione immaginaria il diritto di voto alle donne, esercitabile dal ’46 non corrisponde, in percentuale, al diritto di essere votate ed elette.
Di recente mi ha molto colpito un dibattito collaterale alle candidature per la Presidenza della Regione Siciliana (si vota nel novembre 2022). Nella diatriba in corso tra Musumeci e De Luca il sindaco di Messina ha invitato a fare un sondaggio on line per vedere chi dei due avesse più “like”. Una testata giornalistica ha effettivamente pubblicato un sondaggio sulle candidature, fatto questo che ha inasprito lo scontro tra Musumeci e De Luca (quest’ultimo risultava più avanti nel gradimento). Mi ha profondamente colpito che i nomi posti a sondaggio fossero: Musumeci, De Luca, Fava, “un candidato donna”, altro.
Questo tipo di sondaggio è la fotografia della Sicilia di oggi, quella nella quale, per intenderci, il governo regionale ha una sola donna, Daniela Baglieri, e sol perché il Pd ha presentato ricorso al Tar e si è registrato un putiferio a gennaio. Una sola donna su 12 assessori. Aggiungo che dalle dimissioni di Bernadette Grasso alla nomina di Daniela Baglieri sono passate settimane in cui nessun partito voleva “accollarsi” il gravame terrificante di indicare una donna. Roba da medioevo.
Ma tornando al sondaggio on line che ovviamente non ha alcuna mira scientifica, quelle indicazioni rappresentano una foto di una comunità ancora indietro nel tempo. Si potrebbe obiettare: finora non c’è alcuna donna scesa in campo per la Presidenza della Regione, ma i nomi sono solo 3 (e tutti uomini). La risposta è: APPUNTO. Tutti gli schieramenti in campo stanno per candidare uomini. Mi chiedo poi, ma perché due opzioni sono: un candidato donna (già l’ossimoro la dice lunga, perché non scrivere semplicemente “candidata” senza aggiungere donna?) e poi “altro”. Che vuol dire? D’accordo, nell’era del politicamente corretto prima di scrivere due righe e non passare per maschilisti ci si dice “per carità, mettiamo una donna se no scateniamo l’inferno” (un po’ come avvenuto nel governo regionale). Ma non è realmente un’esigenza “sentita”, è un fastidio, un obbligo, un fardello. Già che c’erano potevano scrivere: 1 Musumeci 2 De Luca 3 Fava 4 una figura mitologica a piacere 5 un Panda. Il guaio è che quel sondaggio RISPECCHIA LA SICILIA OGGI.
Da oggi al novembre 2022 difficilmente cambieranno le cose. Nessun partito vorrà riempire la casella “figura mitologica”, e se lo faranno sarà a malincuore e per di più dopo affannose ricerche e “sciarre” infinite. E se alla fine si troverà la Minotaura di turno sarà un agnello sacrificale sugli altari di una politica ante-1946.
E quando mi si dice “ah, ma non si trova una donna disposta a candidarsi per la Presidenza della Regione”, io rispondo: “è vero, ma vi siete chiesti PERCHE’?” Se ancora oggi ci considerate “optional” nelle giunte e fate a scaricabarile sulle donne (leggi Miccichè che a gennaio ha detto: Forza Italia ha già dato…..), è normale che non ci sono candidate. Questo vale a livello regionale ma anche a livello locale.
Ogni tanto si dice “è l’ora di una sindaca a Messina”, vien voglia di arrabbiarsi e gridare: “perché fino ad oggi non funzionavano gli orologi? Non avevamo raggiunto i 18 anni?” Qual è il discrimine tra il “fino ad ora” e “ora”, se non un discrimine culturale? A chi sostiene che dovrebbe valere il merito io rispondo: perché questo parametro vale solo per le donne? Perché il parametro del “valore” lo uscite dal cilindro solo quando si parla di preferenza di genere? E non è poi strano che in percentuale, secondo la vostra logica, il merito sia il 90% maschile e 10% femminile? Non è bizzarro? Che caratteristiche ha il fare politica o amministrare tali da potersi considerare appannaggio maschile e non in ugual misura presenti in entrambi i generi? Quali sono le “straordinarie doti” tali per le quali si fanno le pulci alle donne e non agli uomini?
Pensavo a questo ieri ricordando nonna Sarina, e mi sono detta che abbiamo celebrato abbastanza il diritto di votare e dovremmo dedicarci adesso con più forza al diritto di essere votate ed elette. Insomma, ci vuole un altro 1946.