Dopo soli sette giorni di pausa, la storia torna a ripetersi. E lo fa ancora di martedì, il giorno settimanale in cui la città è meta di lussuosissime navi da crociera, e lo fa con una puntualità talmente “grottesca” da far quasi dubitare che si tratti di pura coincidenza. Anche se, oggi pomeriggio, quella strana convivenza tra centinaia di crocieristi e centinaia di profughi, sullo stesso palcoscenico quale è ormai divenuto il Porto di Messina, è stata solo sfiorata.
Così, mentre la Msc Splendida diceva “arrivederci” alla Trinacria, il pattugliatore svedese Poseidon faceva il suo ingresso al Molo Marconi urlando “accoglieteli”. Si sono sfiorate, queste due navi, ognuna con la propria missione, ognuna con i propri “ospiti”, ognuna verso la propria meta, opposta. Erano in tutto 498 i migranti che hanno messo piede a terra, dopo esser stati salvati in mare aperto mentre tentavano di attraversare il Canale di Sicilia su barconi fatiscenti.
Tra di loro, c'erano anche 41 donne donne e 17 minori (tra cui una decina non accompagnati), tutti per lo più provenienti dall’Africa Subsahariana che sono scesi dalla nave svedese e sono stati accolti dall’ormai rodata macchina coordinata dalla Prefettura di Messina. Perché qui, al di là delle infinite parole che si consumano sui tavoli di Bruxelles, tutto è reale, ed è ormai divenuto triste routine. I migranti sono stati visitati dal sempre attivo personale dell’Asp, dell’Usmaf e della Cri, che ha provveduto anche a verificare il loro stato di salute ed effettuare lo screening sanitario. Accolti e scortati dalle instancabili Forze dell’Ordine e dalla Capitaneria di Porto, i profughi sono stati poi fatti salire sui vari pullman e smistati tra i centri di prima accoglienza del Palanebiolo dell’Annunziata e dell’ex Caserma di Bisconte, a Camaro.
Moltissimi di loro, come di norma, lasceranno la città quasi immediatamente e verranno condotti in altre strutture del nord Italia. Ma anche quelli che stasera rimarranno a Messina, si fermeranno comunque pochissimo. Siriani e palestinesi, in primis, una volta sbarcati in Italia, non hanno nessuna intenzione di rimanervi. Il nostro Paese, per loro, è pura terra di transito. Molti raggiungono il Nord dell’Europa, qualora vi riescono, per ricongiungersi con altri parenti che hanno fatto da “apripista” molto prima. Molti altri, invece, vorrebbero arrivare in Germania o in Norvegia per tentare di rifarsi una vita e trovare un lavoro. Scappano dalla guerra, dalla miseria, dalle bombe, pagando migliaia di euro per un viaggio che, nella migliore delle ipotesi, dura mesi. E nella peggiore, finisce nel bel mezzo del Canale di Sicilia, su un barcone affondato, in una tomba senza nome. (Veronica Crocitti)