di Marco Olivieri
MESSINA – La nuova ordinanza sulla movida e le precedenti ordinanze. L’intervento della Guardia costiera e della polizia municipale per liberare le spiagge dalle barche abusive. In tutti e due casi, la parola chiave è equilibrio. Nel caso della movida, nessuno o quasi vuole che il litorale, il centro e ogni angolo della città diventino un “dormitoio”. L’estate va goduta da giovani e meno giovani ma risulta necessario che vadano controllati i decibel. L’inquinamento acustico è un problema e vanno rafforzati i controlli dell’Arpa, Agenzia regionale per la protezione ambientale.
Come nel caso dei molesti e illegali fuochi d’artificio di ogni sera, così serve il rispetto delle regole per quanto riguarda i suoni. E, allo stesso modo, così come lo Stato deve creare regole solide e mettere i titolari dei locali nelle condizioni di poter esercitare al meglio la loro professione, così il Comune deve portare a termine il censimento, in modo da offire un’alternativa sicura come il ricovero delle barche e debellare il fenomeno delle occupazioni abusive.
Sono due argomenti differenti ma l’equilibrio sta in questo: conciliare il rispetto delle regole e le esigenze dei singoli, facendo prevalere l’interesse generale. Per Messina sembra una cosa rivoluzionaria. Forse uno psicoanalista direbbe che Messina ancora deve passare dalla fase dell’immaturità alla stagione delle regole. Oggi, a volte, nel caos, sembra più vicina allo spot satirico della Casa delle libertà del “Pippo Chennedy Show”. Con Corrado Guzzanti che diceva: “Facciamo un po’ come c… ci pare”.
Ecco, a Messina siamo ancora troppo abituati a fare come c… ci pare. Cambiare le regole del gioco e introdurre uno spirito di comunità è già rivoluzionario. Giustizia sociale, rispetto per tutti, senso d’appartenenza, tutela di chi è in difficoltà si possono conciliare. “La nostra vita civile/ la nostra idea di giustizia e uguaglianza/ la convivenza sociale è minacciata/ dai mostri che sono la nostra sostanza”, cantava Giorgio Gaber. Insomma, i “mostri che abbiamo dentro” spesso ci impediscono di vedere le esigenze dell’altro. Ma possiamo imparare, piano piano, a diventare una comunità.