Di seguito la lettera di una giovane messinese, Silvia Mondì.
“Fare ripartire il turismo è un imperativo categorico” dicevano. D’altronde quando a Milano riaprivano le industrie al sud a riaprire erano bar, ristoranti, lounge bar. È la nostra economia, la principale fonte di occupazione privata, il settore nel quale lavorano più giovani e che conta il maggior numero di imprese.
Dicevano, ma non è stato così. A distanza di qualche mese non solo il turismo non ha visto alcun rilancio, ma le attività commerciali hanno subito un incremento di limitazioni. Senza voler approfondire la ratio per cui una birra servita alle 20.01 dovrebbe diffondere il Covid-19 più rapidamente di una venduta alle 19.59 quello su cui mi interrogo è il futuro che ci attende, quando la paura del virus sarà soppiantata dalla consapevolezza che certe misure avranno come unica conseguenza la perdita di un gran numero di posto di lavoro.
A farne le spese, dal punto di vista economico, saranno i commercianti, i ristoratori, i negozianti ed i relativi staff. E questo nonostante il forte desiderio di ripartire, cresciuto di settimana in settimana, da parte di chi, specialmente giovani, ha sviluppato idee innovative, in previsione di un’estate indubbiamente diversa, fatta di DPCM ed ordinanze, fatta di regole ferree e mascherine, ma pur sempre un’ESTATE.
Un’estate ricca di alternative, per il gran numero di locali che a costo di grandi sacrifici economici e burocratici si sono adattati alle disposizioni imposte. Un gran numero di imprese tutte diverse, ma tutte mirate ad un unico obiettivo: garantire ai messinesi attimi di dimenticanza ed un pò di sano e meritato divertimento dopo un periodo a dir poco surreale.
Forse da fuori potrà sembrare una passeggiata, o per dirla alla De Luca forse molti crederanno che dietro un’attività stagionale ci sia “u babbiu”, ma non è così. Riuscire a mantenere un’attività stagionale non è per niente facile. Un giorno di pioggia e rischi di bruciare l’utile di una settimana. In un’estate sempre più breve per i proprietari dei locali, ed i loro dipendenti, curare un lido equivale a ritmi frenetici, ad ore di sonno mancate, a tempo sottratto a se stessi. Ogni ora è preziosa ed insostituibile. Significa fare sacrifici senza guardare l’orologio, significa pianti di sfogo dovuti a momenti di alta tensione o momenti di rabbia e concitazione per la voglia di rendere felice e soddisfatta la propria clientela.
Mantenere un’attività stagionale equivale ad una corretta organizzazione del personale, ad un’adeguata qualità dell’offerta… ed adesso al rispetto delle più disparate disposizioni. Musica fino alle 00.30 infrasettimanale, 1:00 durante il fine settimana, possibilità di servire i tavoli fino all’1:30, chiusura alle 2:00 con tolleranza di 30 minuti per la ristorazione, insomma un salto ad ostacoli senza dimenticare che tutto questo lavoro é svolto dopo una giornata sotto il sole cocente e con 48 gradi all’ombra.
Dovremmo applaudire questi commercianti, quanto meno riconoscergli il coraggio di aver accettato una bella sfida. Meno incassi, più paura e regole molto rigide. Nell’era delle mascherine obbligatorie, della possibilità di accedere soltanto in un locale su prenotazione (in alcuni casi anche 7 giorni prima), di controlli continui da parte delle forze preposte per far rispettare le regole agli ospiti del locale, di orari stra-ridotti, di continue operazioni di sanificazione, e di volumi della musica molto bassi, numerosi giovani di Messina ancora una volta si sono messi in gioco.
Alla luce di tutto questo, allora, le domande sorgono spontanee. Io, ragazza messinese di 27anni che assisto con i miei occhi all’impegno portato avanti con fatica e passione da molti coetanei, mi chiedo: è davvero possibile che un’attività commerciale solo per aver sforato di poco l’orario previsto dall’ordinanza di turno, possa subire la chiusura della propria attività? A nessuno vengono in mente le conseguenze materiali e morali di questa scelta? È una sanzione congrua per il periodo di profonda depressione che stiamo attraversando?!
Ma soprattutto…Perché da messinese, o da turista, dovrei scegliere Messina quando nella provincia della nostra stessa città o nella vicina Catania non vigono le stesse, rigide, regole? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto qui, nella Messina che nonostante tutto ci crede ancora, non resta che l’amara consapevolezza che le cose non cambiano, anzi peggiorano. Saremo anche i piú bravi ad indossare le mascherine ovunque, com é giusto che sia. Ma non siamo ancora cosí bravi da abbandonare, purtroppo, le nostre vere maschere…