Mancano pochi giorni ormai all’uscita di Placenta, l’album di esordio della band messinese Basiliscus P. Il 1 aprile, per celebrare l’arrivo del loro primo lavoro, in programma un concerto al Retronouveau (ingresso gratuito) per presentare i nove brani inediti che compongono Placenta. Il gruppo, composto da Marco (basso, voce), Federica (chitarra) e Luca (batteria), nasce nel 2011 con l’obiettivo di creare un sound che racchiuda le passioni musicali dei componenti della band, spaziando dal rock più progressivo e psichedelico degli anni ‘70 fino alla ruvidezza degli anni ‘90, con qualche affascinante sfumatura jazz. Placenta, la cui copertina è stata realizzata da Venera Leto, è il frutto di questo interessante e particolare lavoro di ricerca musicale che i tre musicisti hanno compiuto in questi anni, creando uno stile molto personale e riconoscibile al primo ascolto, che sintetizza sonorità noise, stoner, math rock e psychedelic. A breve uscirà il video del brano “Piove”, diretto da Morgan Maugeri e Alessandro Turchi (che ha fondato il collettivo di artisti Space Donkeys che opera nel settore della produzione e realizzazione di video, documentari e cortometraggi) ed interpretato da Alessio Bonaffini.
Quando e come avete iniziato a fare musica insieme? Perché vi chiamate Basiliscus P?
Luca: Ci siamo formati nel 2011; suonavamo tutti e tre in un altro gruppo, io e Marco la chitarra e Federica il basso. Una sera ci siamo ritrovati in una sala, con la formazione attuale, a provare alcuni riff composti da Marco e Federica (il primo brano fu “Piove”) e abbiamo capito che avremmo dovuto continuare, visto che ad ogni nota ci capivamo al volo. Poi è arrivato tutto il resto, fino al disco. Per quanto riguarda il nome, dopo averci pensato per un bel po’, ci siamo resi conto di avercelo proprio sotto i nostri occhi. Infatti lo abbiamo preso dal brano “Basiliscus P”, il cui riff e testo nascono prima del gruppo, poiché il brano è stato composto da Marco quando ancora la band non esisteva.
Cosa vi aspettate dall’uscita del vostro primo disco e come mai avete scelto l’autoproduzione?
Marco: Diciamo che le giovani band sono quasi costrette ad autoprodursi ed un gruppo poco conosciuto come il nostro non ha molta scelta. E' necessario avere un “pacchetto pronto” anche solo per farsi avanti, il che equivale a una autoproduzione. Grazie alle tecnologie attuali i costi sono molto ridotti e comunque penso che questo passo sia un modo per dimostrare quanto si crede e si vuole scommettere nel proprio progetto in relazione a quanto si è disposti a investire. Abbiamo avuto qualche segnale di interesse sia come produzione artistica, che non abbiamo accettato perché non volevamo comporre e registrare in modo condizionato, sia da qualche etichetta che non ci è sembrata valere l’impegno, anche economico, da sostenere.
La scelta di fare uscire Placenta in vinile è sicuramente molto particolare.
Marco: Abbiamo anche l’intenzione di inserire i brani in formato digitale gratuito. Non aveva molto senso realizzare il cd visto che ormai i sistemi più usati per ascoltare musica sono i cellulari e, comunque, in generale lo streaming. La nostra scelta di realizzare Placenta solo in vinile dovuta al fatto che è un prodotto di nicchia e ricercato, che dovrebbero acquistare proprio quelle persone che ci tengono particolarmente ad avere un vero e proprio supporto da toccare e “vivere” con mano.
Federica: Aggiungerei che si è anche persa quella curiosità che si aveva nel leggere i dettagli riguardanti il disco: prima ascoltare la musica era una sorta di rituale, mentre adesso si dà tutto per scontato. Inoltre, la copertina è una vera e propria opera d’arte a cui si deve dare una importanza fondamentale che adesso, purtroppo, non si dà più ascoltando la musica prevalentemente in streaming; colgo l'occasione per ringraziare Venera Leto, autrice dell’artwork del disco. Il disco è stato soppiantato dal cd e, successivamente, dagli mp3 e dallo streaming. La scelta del vinile è una sorta di reazione a quello che è diventato oggi ascoltare la musica.
Come funziona il processo creativo all’interno della vostra band?
Federica: Spesso chi ha un’idea la propone e poi viene elaborata insieme, con un confronto continuo. Può nascere semplicemente da un giro di basso, da un riff di chitarra o da un groove di batteria, ma molti dei nostri brani sono anche nati in sala durante le prove, dove ci lavoriamo tutti e tre da zero. Mentre dei testi se n’è sempre occupato Marco.
Federica: I brani nei quali mi ritrovo maggiormente sono 3: “L’orrore”, “Amnios” e “Cassetta degli attrezzi”. Sono dei pezzi che hanno un filo conduttore comune: sono, infatti, quelli che richiedono più concentrazione e “dialogo” tra di noi, perché lasciano anche molto spazio all’improvvisazione. C’è un avvicendarsi continuo tra chitarra batteria e basso, fino al raggiungimento di una osmosi assoluta.
Luca: Il pezzo che preferisco è “L’orrore”, perché racchiude tutte le nostre caratteristiche e le influenze che ci caratterizzano, come ad esempio la musica "strumentale" e stoner. Oltre a questo, mi piace moltissimo "Ambaradan" perché mi diverte parecchio suonarlo.
Marco: “L’orrore” e “Amnios” perché le trovo più coinvolgenti. E Basiliscus P perché ci sono affezionato ed è l’unico brano dove suono la chitarra.
Quali sono le vostre influenze?
Federica: Fortunatamente tutti e tre abbiamo gusti musicali molto simili e che spaziano parecchio: dal Noise, al Prog, al Jazz. Band come i Motorpsycho, Built to Spill, Jesus Lizard, Sonic Youth, ma anche gruppi italiani come i Marlene Kuntz, gli Afterhours, i Verdena e soprattutto gli Area, sono state fondamentali per la nostra crescita musicale e per l’arricchimento sonoro acquisito che trova spazio e “sfogo” nei nostri brani.