“Chiamiamolo Ulisse visto che se usiamo la parola Ponte a Roma la considerano come una parolaccia”. Il presidente della Regione Nello Musumeci usa l’ironia per mettere un altro tassello nella mobilitazione per inserire l’opera nel Recovery Fund.
Finora anche il governo Draghi, così come quello di Conte, non si è espresso in modo chiaro e netto sul Ponte. “Abbiamo diritto a una risposta definitiva. Basta con gli eterni rinvii e i balletti, altrimenti siamo pronti a farlo da soli-tuona Musumeci nel corso di una conferenza stampa a Catania col governatore della Calabria, Nino Spirlì, e l’amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini.
All’iniziativa, promossa dal network “Lettera150” con il professore Felice Giuffrè, hanno preso parte anche l’ex ministro Pietro Lunardi, l’assessore regionale alle Infrastrutture Marco Falcone e l’omologo della Calabria Domenica Catalfamo.
Siamo stanc”hi di essere considerati colonia, vogliamo diventare il cuore, la piattaforma logistica del Mediterraneo- ha proseguito il presidente- Ma non sarà possibile se non c’è l’alta velocità e se non si passa in tre minuti tra le due sponde. C’è chi vuol mantenere il sistema Italia diviso in due: un Nord ricco e opulento che produce e un Sud povero e straccione che consumai i prodotti del Nord”.
Problematiche più politiche che tecniche, anche secondo Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, la società che dovrebbe occuparsi della costruzione dell’opera e che ha sempre dichiarato di essere pronta a farlo subito.
«Si può fare – spiega Salini – anzi, lo stavamo facendo, ma ci hanno fermati. La differenza tra i Paesi che crescono e quelli che annaspano è anche nella capacità di creare le grandi opere, di creare prospettive e di essere attrattivi. Il Ponte creerebbe 20 mila posti di lavoro. Noi siamo pronti a partire, anche domani”.
Sulla stessa linea anche il presidente della Regione Calabria, Nino Spirlì: «Calabria e Sicilia sono le porte per chi arriva dal Canale di Suez e dai Paesi che oggi detengono un grande potere economico, come Cina e India, ormai ago della bilancia dell’economia mondiale, e il continente africano che, nei prossimi decenni, sarà l’interfaccia naturale con l’Europa. Non è dunque ammissibile che i primi territori europei non siano tra loro collegati. L’Europa ha l’obbligo di crearlo».