REGGIO CALABRIA – Saranno anche attori non professionisti – l’accento dialettale in diversi passaggi dell’opera è pesantissimo: proprio quello che “cercava” il regista, è la netta impressione – ma per molti versi il film di Jonas Carpignano A Chiara lascia i brividi sulla schiena.
Sembrano tornati i tempi di Ninetto Davoli e di Pierpaolo Pasolini, in effetti: il neorealismo popolare, di comparse e protagonisti presi “per strada” non è mai passato d’attualità. Basta solo sapergli dare l’anima: e Carpignano, ormai di casa a Gioia Tauro, ci riesce alla grandissima.
“In più”, l’opera di Carpignano (nuovamente, produzione Stayblack) dimostra meglio di mille Film Commission che in Calabria si può, magari con determinate precondizioni, si riesce a fare cinema d’eccelsa qualità anche fuori dal circuito delle major.
Il regista roman-newyorchese c’era già riuscito in pieno con ‘A Ciambra; e senza spostarsi che di qualche metro – stavolta molte scene sono state girate sul Lungomare gioiese –, al Festival di Cannes, alla celebratissima Quinzaine des Realizateurs, anche stavolta (come quattro anni fa appunto con ‘A Ciambra) ha vinto la Europa Cinemas Cannes Label. Cioè l’unica porzione della prestigiosa sezione indipendente che, alla Croisette, preveda lungometraggi in competizione tra loro.
Il ritmo, la veridicità della vicenda narrata (una storia simile a mille altre ahinoi dello stesso tipo, eppure diversa) fanno di A Chiara qualcosa di unico. Un po’ come il meraviglioso, azzeccatissimo utilizzo dell’upsound. Il tipico mix di frastuono, attrezzi&musica, che spesso connota le palestre – e che in qualche misura Chiara usa per stordirsi e dimenticare temporaneamente una quotidianità che non le piace – fa pendant col fragore insopportabile delle fiamme che avvolgono un’autovettura incendiata proprio da Claudio Guerrasio, il padre di Chiara, misto alle sirene delle auto della Polizia.
Il senso del dramma personale, familiare, sociale descritto da Carpignano – se possibile, ingigantito dagli echi di Mediterranea e ‘A Ciambra coi camei di Koudous Seihon e Pio Amato – è proprio questo.
Un piccolo mondo che sa, ma si volta dall’altra parte.
Una festa di compleanno interminabile, nel film quasi più lunga di quanto lo sarebbe stata nella realtà, per Giulia (Grecia Rotolo, sorella di Swamy anche sul set). Con dettagli compiaciuti su un padre riottoso a declamare “brindisi” paesani e sulla festeggiata che vince una piccola kitschissima gara di ballo perché, si sa, è il suo giorno.
La discovery struggente di una figlia alle prese fra chi le nega una realtà amarissima e ripugnante e il suo amore incrollabile verso i familiari, molto oltre il dato formale della Legge.
Epperò, della tentata applicazione del protocollo Liberi di scegliere – ci sono anche le immagini del “vero” ex presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria e creatore del protocollo, il giudice messinese Roberto Di Bella –, nulla è più crudo.
«Vedrai, ti sentirai come a casa», dice a Chiara un’assistente sociale. Ma la ragazza replica con asprezza: «Mi sentirei a casa stando a casa».
Facile (o difficile: anche questo, dipende…), parlare di ‘ndrangheta.
E invece, quando sei un’adolescente fragile e squassata dalla vita, forse conta di più quel che cantano in Altalene – colonna sonora del film – Bloody Vinyl, Slait e Tha Supreme: Non piove più, quando sei te con me qua.