MESSINA – Nel 2023, 3.512 imprese hanno chiuso nella provincia messinese. A Messina 1.252. Nel 2012, si erano cancellate rispettivamente 1.996 e 640. Ora sono 1098 e 536 in meno, facendo un confronto con le nuove iscrizioni. In base ai dati della Camera di commercio (si veda l’allegato), si confermano tutti gli elementi critici di una città e di una provincia che hanno bisogno di rivitalizzarsi, trovando un nuovo modello di sviluppo.
Tra super bonus abortito e crisi complessiva, si nota la débâcle dell’edilizia: 465 in provincia e 146 in città le chiusure d’imprese. Ben 1020 in provincia e 381 in città le cessazioni nel commercio all’ingrosso. 224 e 73 nell’attività manifatturiera; 258 e 80 nell’attivtà dei servizi, come alberghi e ristorazione; 249 in provincia e 28 in città nell’agricoltura. In generale, erano 47.469 i lavoratori nel 2022 a Messina; nel 2023 sono 47.225 gli addetti. Le nuove imprese iscritte, invece, risultano 2.414 e 716.
Questi dati confermano la situazione drammatica sul piano economico e sociale che vive la Città metropolitana. Il post Covid potrebbe aver dato il colpo fatale a un’economia già asfittica. Lo abbiamo scritto di recente: l’elevata mortalità delle aziende è certamente espressione della fragilità economica del territorio. È giusto dirsi però che a incidere negativamente è anche un tessuto imprenditoriale spesso improvvisato e con una debolezza culturale che lo rende inidoneo ad affrontare le complessità del sistema economico. Ulteriore elemento di fragilità è, poi, la frammentazione delle aziende.
Di conseguenza, qual è il modello di sviluppo per il territorio messinese che potrebbe invertire la rotta? Modello imprenditoriale e nella formazione, per poter correre ai ripari in tempi brevi? Su questo bisogna lavorare e subito. Di certo, i dati tirano in ballo tutti i soggetti che devono cooperare: governo nazionale e regionale, Comune, Università, Confesercenti, Confcommercio, ordini professionali, sindacati.
L’amministrazione comunale deve creare le condizioni, dalla burocrazia non più palla al piede a una serie d’elementi di fiscalità di vantaggio, perché s’intercettino i flussi d’investimento a Messina, ad esempio. Ma, allo stesso tempo, le imprese del territorio, di tutto il territorio provinciale, devono essere ben formate e attrezzate ai grandi cambiamenti in corso a livello mondiale.
Gli scenari sono profondamente mutati. È crollato il mondo dell’edilizia, compreso chi agiva in modo improvvisato. E, in ogni settore, serve una seria formazione imprenditoriale e commerciale. Ad esempio, la stessa edilizia potrebbe fornire un grande supporto nel campo dell’adeguamento sismico delle abitazioni, come già sta avvenendo nelle scuole, nella messa in sicurezza del territorio provinciale e nel ripensare la città, senza più periferie trascurate. Ma occorre un piano complessivo che tenga insieme lavoro e giustizia sociale, economia e società da rivitalizzare, turismo, cultura, agricoltura. Una visione d’insieme per contemperare tutto: dalle aree dismesse artigianali da recuperare a ogni altra potenzialità del territorio che va scovata e messa in circolo.
Le necessità e gli strumenti da mettere in gioco sono tantissimi. Zes, Zone economiche speciali, incentivi all’occupazione, regole chiare e non opprimenti sul piano della burocrazia e del fisco, formazione, in una realtà dove laureati e diplomati sono davvero pochi, innovazione tecnologica, riscatto sociale sono elementi fondamentali. E ancora: le potenzialità dei finanziamenti e dei progetti europei, la valorizzazione della città universitaria e di un ruolo chiave nel Mediterraneo devono trovare un’armonizzazione. Sia portare le imprese qui, sia formare gli imprenditori e i commercianti del futuro, appare indispensabile.
A questo serve la politica. Come ricorda la Cgil, il tasso di occupazione femminile è del 24,2% contro la media nazionale del 37,7%. Il tasso di disoccupazione è del 21,5% rispetto a una media nazionale dell’8,2%. Il tasso di disoccupazione giovanile, nella fascia 15-34, del 32%. Senza dimenticare il lavoro nero e i giovani che non studiano, non sono in fomazione e non cercano occupazione: i cosiddetti “Neet”. In Sicilia addirittura il 40 per cento.
Vogliamo rassegnarci o reagire davvero? Inutile limitarsi a contemplare la sconfitta econonomica: tutti i soggetti, nazionali e locali, devono lavorare per invertire la rotta. Altrimenti non rimarrà che continuare ad assistere al progressivo spopolamento di città e provincia: 25mila abitanti in città, e 35mila in provincia, negli ultimi dieci anni, in base all’Istat. Ma piangersi addosso, senza lavorare davvero in un’ottica di cooperazione, non modificherà la situazione. La campana è già suonata da parecchio tempo.