Un recente articolo di Andrea Riccardi su La Stampa si interroga circa la sospensione delle messe nelle zone del Nord Italia maggiormente colpite dal nuovo coronavirus. Le messe sono sospese da più di dieci giorni, e siamo in piena Quaresima. Gli italiani residenti in quelle zone non hanno potuto celebrare il Mercoledì delle Ceneri, con il consueto e sobrio rito dell’imposizione delle ceneri sul capo, né possono (ancora) partecipare alle messe la domenica, giorno pasquale per eccellenza.
Riccardi, accademico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, si domanda se «ci troviamo davvero di fronte a rischi così grandi da rinunciare alla nostra vita religiosa comunitaria». Domanda particolarmente azzeccata, data la constatazione che negozi, supermercati e centri commerciali sono aperti, mentre le chiese sono rigorosamente chiuse – o meglio, non è possibile celebrarvi riti comuni, rimanendo invece aperte come luogo di preghiera individuale.
«Le chiese non sono solo “assembramento” a rischio, ma anche un luogo dello spirito. […] La preghiera comune in chiesa alimenta speranza e solidarietà», soggiunge Riccardi. È un’esperienza ben nota nella storia umana: l’affidamento al divino, il porre in esso le speranze di un nuova vita (non solo di quella dopo la morte ma anche della vita nell’aldiqua, una vita rinnovata dalla potenza del perdono e del riscatto) sono antidoti efficaci – di cui si può senz’altro parlare dei benefici psicologici, ma che hanno una validità e una potenza ulteriore per colui che vi dà un completo assenso esistenziale.
Andrea Riccardi riporta quindi un resoconto del celebre sociologo americano Rodney Stark, il quale «scrivendo sull’ascesa del cristianesimo nei primi secoli, nota come fu decisivo il comportamento dei cristiani nelle epidemie: questi non fuggivano come i pagani fuori dalle città e non sfuggivano agli altri, ma, motivati dalla fede, si visitavano e sostenevano, pregavano insieme, seppellivano i morti. Tanto che il loro tasso di sopravvivenza fu più alto dei pagani per l’assistenza coscienziosa, pur senza medicamenti, e per il legame comunitario e sociale».
La religione non solo come legame dell’uomo con Dio ma anche dell’uomo con l’uomo. La solidarietà fondata sulla carità, in altri termini, rafforza e irrobustisce la costituzione dell’individuo e della società nel suo insieme. E questo mutuo sostegno guarisce. I social media sono solo un palliativo che, come si vede chiaramente in questi giorni di isteria, non solo non guariscono ma diffondono incertezze e ansie. Una comunità che non guarisce.
Continua Riccardi: «Nemmeno ai tempi dei bombardamenti e del passaggio del fronte durante la seconda guerra mondiale (quando la Chiesa fu l’anima della tenuta di un popolo), si chiudevano le chiese e si sospendevano le preghiere. Anzi il popolo si radunava fiducioso in esse, nonostante i pericoli di bombe e massacri». Il tocco guaritore del Cristo, il quale sempre era a contatto con i malati e li guariva, rimane la stella cometa della morale cristiana. E l’imperativo è: non avere paura. Sembra invece che oggi la paura abbia sovrastato la speranza, e da qui alla disperazione il passo è breve.
Conclude Andrea Riccardi: «Il “silenzio” e la solitudine religiosa sono un aggravio tra le difficoltà». E invece il trambusto dei centri commerciali appare oggi ai più come maggiormente consolatorio del silenzio nelle chiese: se si va a comprare la comunità è viva, dice il (nuovo) senso comune. Un rovesciamento cui bisognerebbe dedicare studi specifici.