E’ la tela di Penelope. Si fa e si disfa. E resta sempre la stessa. Soprattutto non finisce mai. O se preferite, è una telenovela, interminabile e sempre con gli stessi protagonisti. Si torna a parlare di doppio incarico. Anzi “del” doppio incarico per eccellenza, ormai, quello del sindaco Giuseppe Buzzanca, l’ultimo baluardo tra gli amministratori siciliani che rivestono anche la carica di parlamentare. Gli altri si sono tutti dimessi dall’una o dall’altra carica. Lui resiste. Perché, è la sua legittima risposta, mi è consentito farlo. «Non è un doppio incarico, ma una doppia elezione». Cioè per due volte il popolo lo ha votato. Per lui la questione finisce qui. Ma non per la Corte di Cassazione. Che ha depositato la sentenza numero 27327 sul ricorso elettorale presentato da Giuseppe Rodi contro la pronuncia della Corte d’Appello, in particolare contro «mancata dichiarazione di decadenza conseguente al riconoscimento di incompatibilità del doppio incarico», chiedendo alla Cassazione di pronunciarsi oppure di rimettere gli atti alla Corte d’Appello stesso per discutere le tesi avanzate dallo stesso Rodi.
La Cassazione lo ha accontentato solo in parte. Ha dichiarato inammissibile il ricorso di Rodi, ma ha comunque rinviato tutto nuovamente alla Corte d’Appello, «in diversa composizione», cioè con diversi giudici. E questo perché è stata cassata la sentenza della Corte messinese ed è stato dichiarato inammissibile anche l’intervento di Giulia Pisanelli, cittadina che si era costituita a sostegno di Buzzanca, assistita dall’avvocato Bonaventura Candido. In sostanza la Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità dell’intervento della Pisanelli sin dal primo grado ed anche nelle fasi successive. Era stata proprio la Pisanelli a proporre l’appello per la riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Messina, sentenza che aveva rigettato la richiesta di decadenza di Buzzanca da sindaco, ammettendo però l’incompatibilità tra le due cariche ricoperte dallo stesso Buzzanca. Candido e la Pisanelli si erano opposti proprio a questa seconda parte della sentenza, ma il loro ricorso era stato rigettato dalla Corte d’Appello, che non aveva preso in considerazione nemmeno il ricorso incidentale presentato dall’avvocato Antonio Catalioto per conto di un altro cittadino, Vincenzino Saglimbeni, colui che aveva dato vita all’intero procedimento con il primo ricorso contro Buzzanca.
Adesso la Cassazione, di fatto, chiede alla Corte d’Appello di pronunciarsi nuovamente sulla questione, senza considerare la posizione di Pisanelli-Candido e tenendo stavolta conto di quella di Catalioto-Saglimbeni. Una piccola rivincita, per Catalioto, dopo il boccone amaro ingerito la settimana scorsa all’Ars, quando la commissione verifica poteri non lo ha nemmeno fatto parlare sulla causa di decadenza di Buzzanca da deputato (in quel caso l’avvocato assiste il primo dei non eletti D’Aquino). La prossima tappa di questa maratona non dovrebbe essere più tardi del marzo prossimo. La Corte d’Appello si pronuncerà in un contesto giuridico diverso rispetto alla prima volta: nel frattempo, infatti, è stata cassata la leggina “salva doppio incarico” dalla Corte Costituzionale ed è stata dichiarata la “bilateralità” dell’incompatibilità delle cariche. Esito scontato? Niente è scontato in questa storia. Altrimenti che telenovela sarebbe?