L’intervista più bella l’ha rilasciata la nipotina di 4 anni di Maurizio Licordari allo zio: “Partita bellissima, abbiamo vinto 0 a 0”.
Perché è vero che abbiamo vinto, non è stato un pareggio. Ed è stata una partita iniziata nell’estate del 2011, quando quel pazzo di Lello Manfredi fece una folle colletta tra tifosi, sognatori, imprenditori, per prendere dai capelli quel Messina che altri avevano gettato nel cestino. Senza quella colletta ieri lo stadio non avrebbe visto 20 mila spettatori in festa, emozionati dalla marsigliese, orgogliosi di disputare il derby e soprattutto stupiti di essere in tanti. Certo, sul piano sportivo c’è ancora tanto da lavorare, ma quel che è successo ieri al San Filippo ha più a che vedere col cuore e con l’identità che non con la tattica. Lo confesso, è stato un tuffo al cuore rivedere quella curva sud gremita e riascoltare i cori, aspettare la coreografia, gli striscioni, risentire gli applausi. E’ sembrato un ritorno agli anni della serie A.
Perché la verità è che adesso è il Messina dei “messinesi”, quello di chi getta il cuore oltre l’ostacolo anche se i soldi sono pochi e la battaglia è spietata. Poi la palla è rotonda ed alla fine anche chi pensa che il cielo sia pieno di nuvole e pioggia riscopre che il sole spunta prima o poi. E insieme al sole quei 20 mila. Anche stavolta Manfredi, oggi direttore del marketing, l’hanno preso per pazzo quando ha lavorato all’idea dei 20 mila in tre settimane. Per i pignoli e i contestatori che non mancano mai dico che non erano ventimila ma quasi 19 mila ma insomma considerato che Messina quei numeri non li vede da anni se non per Vasco Rossi, possiamo anche permetterci di “arrotondare”, non è un reato ogni tanto sorridere delle nostre vittorie. Certo, è una città strana quella nella quale dopo quasi un mese senz’acqua in piazza non ci va nessuno, al massimo 350 persone, ma allo stadio si arriva a quei numeri. Ma io ci leggo un messaggio positivo: Messina ha voglia di un sogno, di un sorriso, di qualcosa che riempia il cuore. C’è voglia di identificarsi in una “maglia” che unisca e che non dia soltanto amarezze e della quale non vergognarsi. Al massimo puoi contestare l’arbitro, ma i colori della maglia mai. Sappiamo bene tutti che non saranno sempre queste le cifre degli spettatori al San Filippo, ma è da qui che si inizia, anche sotto il profilo del marketing, poi è chiaro che il resto lo devono fare gli uomini di Re Artù.
Rivedere anche la tribuna in piedi nei momenti più caldi del tifo (si sa che la tribuna è più fredda della curva), rivedere le stesse facce di allora, anche se più invecchiate e molti con i figli piccoli che ai tempi della B e della A non avevano, ha fatto pensare che in fondo, come dicono gli ultras “siamo sempre qua”.
E la marcia in più di questo Messina sono quelli che, come direbbe Accorinti, sono quellicheceranoprima. Quindi a scaldare il cuore dei tifosi sono Arturo Di Napoli, che Messina ce l’ha proprio stampata nel petto e che dopo aver dato tutto da calciatore ora lo sta facendo da allenatore, c’è Alessandro Parisi , messinese ormai d’adozione e che da qui ha deciso di ricominciare la sua seconda vita, per non parlare di Cocuzza che ha dato l’anima in campo e fuori per poter superare anche i momenti più difficili. E poi la “squadra” di Lello Manfredi, dal primo all’ultimo, e il direttore sportivo Christian Argurio, che negli anni d’oro era l’instancabile e impeccabile addetto stampa. Loro sono quellicheceranoprima ma poi ci sono quelli che hanno reso possibile, nell’ennesima estate rovente del Messina, che ieri si arrivasse a quell’urlo, primo fra tutti Natale Stracuzzi. Non sapeva come sarebbe finita e da dove avrebbe cominciato la sua avventura, eppure l’ha fatto.
E’ vero, l’impegno civile i messinesi dovrebbero dimostrarlo in piazza per reclamare una città migliore, vivibile, viva, e prima in tutto. Ma quei 20mila che si sono visti insieme lo hanno fatto per un sogno che non sognavamo da anni. Forse la fiaccola che si è accesa al San Filippo può essere un buon auspicio per la città, può essere il segnale che gli anni bui delle retrocessioni, della D, della rassegnazione, sono finiti e che forse la ruota comincia a girare. Ecco, non usiamo quei cori per buttarci ancora una volta giù o per puntare il dito contro chi non è sceso in piazza ma è andato allo stadio. I sogni aiutano a vivere, così come la speranza che le cose cambino. Una maglia ha unito persone di opinioni opposte e che fuori dallo stadio se ne dicono di tutti i colori. Potrebbe essere l’inizio di un cammino che così come sta riportando la nostra maglia nei palcoscenici sportivi che merita potrà portare anche Messina nei gradini più alti. Insomma, il sogno che unisce tutti noi è che Messina torni in serie A non solo nel calcio, ma ovunque ci sia una classifica. E se si accende una candela dopo anni e anni di buio, di errori e sfortune, allora dobbiamo fare di tutto per tenerla accesa, indipendentemente dalla stanza nella quale si è accesa.
Quando la ruota inizia a girare, dobbiamo aiutarla a fare girare ancora di più.
Rosaria Brancato