Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di una lettrice in merito alle diverse forme di violenza che riguardano gli uomini.
Spett.le Redazione,
chi scrive è una donna che vuole denunciare delle gravi ingiustizie perpetrate nei confronti degli uomini e dei padri.
Da qualche anno a questa parte si sente quotidianamente parlare del cosiddetto “femminicidio” mentre alcuni fenomeni analoghi che vedono vittime gli uomini non vengono considerati. Direi allora di far parlare i numeri e le statistiche: di seguito riporto i risultati di alcuni studi sulla violenza femminile psicologica, fisica e sessuale.
I dati del Rapporto Eures sulle Caratteristiche e Profili di Rischio del Femminicidio del 2015 rilevano per il quinquennio 2010-2014 un totale di 923 vittime di omicidio avvenuto nel contesto familiare o di coppia: 578 femmine e 345 maschi. Quei 345 uomini non meritano forse la stessa attenzione delle donne?
Gli uomini italiani che hanno subìto abusi per mano femminile sono circa 3,8 milioni, e tra loro ogni anno più di 100 telefonano ai centri anti-violenza per denunciare casi di stalking o reati sessuali; nel 2014, gli abusi hanno riguardato il 39% dei ragazzi rispetto al 35% delle coetanee italiane (Dati Adnkronos, Pasquale Giuseppe Macrì e Centro Anti-Violenza Ankyra). 4 uomini su 10 tra scuola superiore e università sono stati costretti a rapporti non consensuali con coercizione verbale (31%), fisica (18%) o attraverso somministrazione di droghe (7%); nel 95% dei casi, le violenze o le molestie erano state perpetrate da donne (Dati American Psychological Association). Nel 2013 sono stati 1.498 i maltrattamenti in famiglia per mano femminile, e sono state 975 le denunce per stalking avanzate da uomini nei confronti di donne (Dati Questura di Milano).
Vogliamo parlare della violenza psicologica? Gli uomini intervistati dall’Università di Siena in collaborazione con l’A.N.F.I.riferiscono di minacce da parte di mogli e compagne di attentare all’incolumità dei figli (26,6%) e alla propria (32,4%), di recidere i legami con la prole (59,4%) e ridurre il partner sul lastrico (68,4%) in caso di divorzi e separazioni.
E a proposito di divorzi e separazioni: vogliamo parlare, poi, del tasso di suicidi di uomini separati? In Italia si parla di cifre che oscillerebbero tra i 100 e i 200 ogni anno, anche se non ci sono dati ufficiali proprio a causa del fatto che le nostre istituzioni non attribuiscono alcuna importanza a questo tragico fenomeno. Secondo uno studio del 2001 del Canadian Institute for Health Information, in Ontario si suicidano 800 uomini ogni anno, il 79% dei quali ha un’età media di 44 anni; dal report si evince che tra le due principali cause dietro questi suicidi maschili c’è la perdita della famiglia e dei figli a seguito di separazioni e divorzi.Il Dr. Paul Links, professore di Psichiatria e direttore degli studi sul suicidio all’Università di Toronto, riferisce che divorzi difficili e perdita dei figli rientrano tra le cause che conducono al suicidio. Gli uomini divorziati si suicidano 2 volte più spesso di quelli celibi o sposati e commettono il suicidio 8 volte più delle donne nella popolazione generale (Kposowa, A. (2000) “Marital status and suicide in the National Longitudinal Mortality Study”, Journal of Epidemiology and Community Health, 54, 254-261). Se questo non è un “maschicidio” e non è “una piaga sociale”, allora che cosa lo è?
I padri italiani separati sono 4 milioni, il 46% dei quali vive in condizioni di indigenza (Dati Caritas); la legge non fa eccezioni per loro: se un uomo non versa all’ex-moglie l’assegno di mantenimento, a prescindere dalle proprie condizioni economiche, rischia la reclusione fino a un anno e una multa che va da 103 Euro fino a 1.032 Euro (Articolo 570 bis del codice penale in vigore dal 2018), mentre solo il 4% delle donne paga un assegno di mantenimento. Perché il dramma di quei papà separati che vedono la loro vita distrutta da una ex-moglie malevola (che, oltre a ridurli in povertà, molto spesso strappa via loro i figli con infami calunnie) non ha neanche lontanamente la stessa risonanza mediatica? Perché non vengono create leggi apposite in difesa di questi uomini e padri, come invece avviene nel caso delle donne?
Gli uomini che chiedono aiuto per le violenze subite sono solo la minoranza, infatti una costante che emerge dagli studi e dalle statistiche è la reticenza degli uomini non solo a denunciare questo tipo di abusi alle forze dell’ordine, ma anche a parlarne con familiari ed amici per il timore di non essere creduti o di venire derisi a causa di pregiudizi e stereotipi duri a morire. Perché chi potrebbe fare qualcosa in merito ritiene che questi uomini non abbiano lo stesso diritto delle donne di essere ascoltati, aiutati e sostenuti materialmente e psicologicamente?
Possibile, poi, che ogni volta che una donna commette reati gravi (come l’omicidio, ma non solo), anche nei confronti di un minore, l’opinione pubblica prenda sempre le sue parti con ogni tipo di giustificazione psicologica e psichiatrica, mentre se a commettere lo stesso reato è un uomo, questo subisce un vero e proprio linciaggio mediatico (e spesso prima ancora che sia stata dimostrata la sua colpevolezza)?
Bisognerebbe informarsi meglio anche sulla pedofilia femminile, una piaga di cui la maggioranza delle persone ignora perfino l’esistenza. Solo per far avere un’idea: Childline, l’equivalente inglese del nostro Telefono Azzurro, ha registrato un aumento del 132% di denunce per aggressione sessuale femminile. I neonati violati da donne sono in aumento allarmante (Dati Associazione Meter di Don Fortunato Noto). La BBC ha addirittura dedicato al tema un intero documentario, intitolato “The Ultimate Taboo: Child Sexual Abuse by Women” (“L’ultimo tabù: abusi sessuali su bambini commessi da donne”).
“Non una di meno”? E allora anche “non uno di meno”, uomo, anziano o bambino, perché la violenza non conosce “genere”! La violenza è sempre violenza, a prescindere che a perpetrarla sia un uomo o una donna, e va condannata in quanto tale!
Annalisa Striglioni