“Il Collegio sindacale, alla luce di quanto sopra esposto, ritiene che non sussistano elementi per esprimere parere positivo sulla richiesta di ratifica dell’atto transattivo più volte posta all’Assemblea”.
E’ la frase conclusiva di una nota di 9 pagine, datata 29 febbraio 2016, firmata dal Collegio sindacale di Messinambiente (Santi Cutugno presidente, componenti Domenico Santamaura ed Elio Azzolina), in merito alla richiesta di ratifica del reintegro dell’ingegnere Natale Cucè in azienda dopo il licenziamento senza preavviso da parte dell’ex commissario Alessio Ciacci il 27 marzo dello scorso anno.
La nota di febbraio, indirizzata al sindaco, agli assessori Signorino e Ialacqua, al commissario Calabrò, al direttore generale Le Donne, ripete per la terza volta il parere non favorevole alla ratifica, come evidenziato nelle due Assemblee del 18 settembre e 18 dicembre 2015.
Le motivazioni del parere contrario sono molteplici, vanno dalla mancanza di pareri ed atti previsti e richiesti, alla perplessità sulla mancata costituzione in giudizio, fino alla sussistenza di legami di parentela tra il commissario Calabrò e Cucè ed alla permanenza di quest'utlimo ancora in azienda.
La nota del 29 febbraio ripercorre le fasi che hanno portato al licenziamento di Natale Cucè, direttore tecnico di Messinambiente, da parte dell’ex commissario Alessio Ciacci.
Sin dal 20 ottobre 2014, si legge, ci sono state una serie di contestazioni disciplinari da parte di Ciacci a Cucè, con relative risposte, culminate, 5 mesi dopo, con il licenziamento in tronco di Cucè, che successivamente presenta ricorso al giudice contestando il provvedimento e chiedendo un risarcimento dei danni.
Le motivazioni che hanno spinto Ciacci a licenziare il direttore tecnico sono spiegate in una lettera che l’ex commissario inviò il 13 giugno 2015 alla giunta: “l’esame di detta lettera- scrive Cutugno- invero inquietante evidenzia un comportamento asseritamente assunto dal Cucè in occasione di una riunione avvenuta nell’estate 2014 alla presenza dell’assessore Signorino e del direttore generale”. Nella lettera Ciacci fa riferimento ad una serie di comportamenti adottati da Cucè in seguito alla nomina a direttore tecnico, volti a non rivolgersi più per le riparazioni dei mezzi alla società Mediterranea ma ad altre officine non autorizzate, anche in provincia “con un conseguente aggravio di costi ed ignorando il rapporto vantaggioso con la società instaurato da Ciacci che con nuove condizioni contrattuali aveva ottenuto notevoli economie di spese”. Dagli atti riportati e da alcune testimonianze si evince come in realtà spesso i mezzi finivano ugualmente per essere riparati “in seconda battuta” presso la Mediterranea, quando le altre officine non erano in grado di farlo o le riparazioni effettuate non erano andate a buon fine. La complessa vicenda riguarda anche pressioni effettuate per l’assunzione temporanea di due persone sia presso la Mediterranea che presso Messinambiente. Secondo Ciacci e secondo il Collegio sindacale di Messinambiente le contestazioni disciplinari erano di una portata tale che avrebbero dovuto indurre l’amministrazione, prima di rinunciare a presentarsi di fronte al giudice per il ricorso e di transigere bonariamente, a riflettere.
L’amministrazione e Messinambiente, attraverso il successore di Ciacci, scelse la transazione con modalità che non hanno incontrato il parere favorevole del Collegio sindacale.
L’udienza per il ricorso presentato da Cucè era stata fissata per il 3 settembre, e nell’assemblea dei soci del 13 agosto, il nuovo liquidatore Giovanni Calabrò informava l’amministrazione dei rischi economici per il Comune in caso di soccombenza di fronte al giudice. L’amministrazione “dava quindi mandato al liquidatore di valutare la possibilità di evitare un contenzioso e di addivenire ad un bonario componimento della questione che tenga conto anche delle motivazioni che hanno portato il precedente liquidatore alle decisioni prese”. Il Collegio di difesa raccomandava a Calabrò di tenere ben “presente che la costituzione in giudizio a settembre non avrebbe pregiudicato alcuna successiva bonaria transazione e chiedeva di avere copia dell’eventuale bozza di transazione per valutare le ricadute economiche per l’azienda e la reputazione della società”.
Il 20 agosto il commissario inviava una nota con gli elementi essenziali della transazione che prevedeva il reintegro, l’immediato godimento delle ferie non godute e il passaggio in mobilità ad altra partecipata del Comune, concludendo: “quindi il Cucè fisicamente non rientrerà più neanche un giorno in Messinambiente”. Appena 24 ore dopo, il 21 agosto, senza alcun passaggio dell’atto in Assemblea e senza le valutazioni del Collegio di difesa, viene firmato l’atto di transazione tra Accorinti, Calabrò e Cucè “alla velocità del suono” , come notano i revisori. L’accordo prevede che Comune e Messinambiente non si costituiranno in giudizio il 3 settembre.
Ma il 18 settembre il Collegio sindacale, rilevando che tutte le indicazioni erano state disattese sospende la ratifica del reintegro e dell’accordo e si riserva il parere dopo la valutazione degli che Calabrò s’impegna a consegnare in tempi brevi.
Passano altri tre mesi ed il 18 dicembre 2015 si riunisce nuovamente l’Assemblea nel corso della quale Calabrò conferma che la transazione bonaria è stata effettuata su impulso dell’amministrazione e chiede sia la ratifica del reintegro che il rispetto della seconda parte dell’accordo, ovvero il trasferimento all’Amam in mobilità, dal momento che Cucè, è ancora“presente in azienda e svolge attività propedeutica al trasferimento di Messinambiente in Amam”.
Ancora una volta il Collegio esprime le sue riserve “non dà parere favorevole alla ratifica e chiede che l’Assemblea prima di esprimersi prenda atto della relazione che Calabrò dovrà presentare nel più breve tempo possibile”.
Solo il 18 dicembre, quindi dopo aver firmato la transazione ad agosto e rinunciato a presentarsi in giudizio Calabrò, nel rispondere ad una precisa richiesta del Collegio, comunica formalmente di essere parente di Cucè.
Siamo arrivati quindi alla nota di fine febbraio 2016, quando alla luce dei verbali precedenti, il Collegio conferma il parere negativo: “La vicenda esaminata dalla genesi alla conclusione fa emergere talune perplessità inerenti in particolare la sussistenza di fatti che possono avere rilevanza penale”.
In particolare quel che riguarda la questione dei rapporti con la società Mediterranea comporta che “non solo l’efficienza ipotizzata sembra non si sia verificata ma si sarebbe prodotto un danno dalla maggiorazione dei costi”.
Il Collegio di difesa elenca una serie di motivazioni a supporto del parere non favorevole: 1)non è stato chiesto il parere dell’avvocatura comunale circa la percorribilità della transazione 2)non è stato consentito all’Assemblea ed al Collegio sindacale di valutare gli atti sulla transazione (sottoscritta in meno di 24 ore) 3)non è stata valutata la possibilità di costituirsi in giudizio 4) manca il parere dei revisori dei conti del Comune a sostegno della sottoscrizione del sindaco alla transazione 5) manca il parere preventivo del collegio sindacale 6) non era presente al momento della transazione nessun rappresentante dell’Amam 7) manca un esame del costo che avrebbe dovuto sostenere il Comune in caso di soccombenza rispetto all’economia derivante 8) Cucè, nonostante quanto previsto dall’accordo (e cioè l’immediato trasferimento in un’altra partecipata) è ancora a Messinambiente 9) Calabrò ha comunicato la sussistenza della parentela con Cucè solo dopo esplicita richiesta del Collegio e solo nei mesi successivi ala transazione, nonostante il potenziale conflitto d’interessi.
Fin qui il Collegio sindacale nelle note di settembre, dicembre 2015 e febbraio 2016.
Perplessità probabilmente sanate successivamente o forse soltanto rinviate.
Rosaria Brancato