“Olè, olè, olè… Vasco! Vasco!”. Quando sono arrivato allo stadio c’era già un fiume di gente ad aspettare ai cancelli. Ragazzi in costume, con poca roba addosso e quella poca roba aveva a che fare con lui, Vasco. E allora mi son messo in fila pure io, costume, bandana del Blasco in testa e tanta voglia di cantare. Già lì, fuori dai cancelli, sotto un sole cocente e un forte vento come unico sollievo. Tiro fuori la mia birra ancora “semi-fresca” dallo zaino ed entro in clima concerto. Siamo impazienti, lì fuori, qualcuno deve essersene accorto perché finalmente aprono. Entriamo correndo come se il concerto stesse per iniziare, come se non mancassero ancora troppe, troppe ore. Mi fermo a una bancarella e compro l’ennesima maglietta dell’ennesimo concerto. Ma questa è speciale perché la compro nella mia città. In tanti altri ragazzi rivedo ciò che sono stato io per anni: quante volte ho preso un treno, un pullman, qualsiasi mezzo per arrivare in una città lontana mille miglia per vedere lui, il “Blasco”, il rocker di Zocca che non so nemmeno dove sia. Stavolta è al contrario, loro sono venuti qui da me, a casa mia. Perché Vasco è a casa mia, per la terza volta. Il palco fa impressione. Anche gli altri facevano impressione, ma questo è davvero grande. Anzi, è alto. Pare la torre di Babele. Iniziano le band che provano a “riscaldarci” un po’ e ci riescono pure. Ma la nostra voce è solo per Vasco. Ed eccolo lì, le luci si spengono e quando si riaccendono lui è lì. Col suo viso scaltro e stanco, anche un po’ invecchiato. Ma la carica che dà è quella di sempre. Attacca con “Sei pazza di me”, è una canzone del disco nuovo. E non si ferma più. Tra ballerine e vibrazioni uniche. Poi decide di imbracciare una chitarra e di dedicare sé stesso, solo sé stesso, a noi, come si fa ai falò di Ferragosto o nelle gite scolastiche. Chitarra e voce. Una voce che trema quando canta “Sally cammina per la strada senza nemmeno guardare per terra”. Il finale è un crescendo, siamo carichi e stanchi, senza voce e con tanta voglia di urlare. “Io sono ancora qua… eh già”, ci urla Vasco. Poi ci racconta ancora una volta della sua “Vita spericolata”. E ci lascia con l’immortale “Albachiara”, perché altro modo per chiudere un concerto di Blasco non c’è.
Le luci si spengono. Adesso è tutto buio. Il concerto è finito. Non c’è più Vasco. Non c’è più nemmeno il palco. Non ci sono nemmeno le migliaia di persone attorno a me. Il concerto non è finito. Il concerto non c’è stato. Colpa di un muro montato al contrario, mi hanno detto. E’ dura scoprire che tutto quello che ho raccontato non è mai avvenuto. E’ ancora più dura venire a sapere che Vasco ha deciso di smettere coi tour. Quello di quest’anno è stato l’ultimo. E’ dura e fa rabbia sapere che il suo ultimo concerto a Messina è stato il concerto che non c’è mai stato.