Da Taormina – Il cineasta contemporaneo “condivide il destino del terrorista e lo porta alle massime conseguenze: come un cane delle fogne si nutre dei nostri cibi e ce li vomita in faccia” (Massimo Nardin). Ci parla di un mondo che non è più, e che non si rivolge più a noi. Procede senza di noi, perché di noi non avrà più bisogno.
“Farò un film su Mohamed Bouazizi, il 27enne ambulante divenuto simbolo delle sommosse popolari in Tunisia, dopo essersi dato fuoco il 17 dicembre 2010 in segno di protesta per le condizioni economiche del suo Paese. Le riprese inizieranno ad ottobre e lo presenterò proprio a Taormina l’anno prossimo”.
Lo ha annunciato il produttore Tarak Ben Ammar – nipote di Bourguiba, il primo presidente della Tunisia indipendente, ex manager di Michael Jackson, ex socio di Silvio Berlusconi e che in Italia siede nel cda di Mediobanca – durante la master class che si è svolta ieri mattina nella sala “Fondazione Mediterraneo”.
Bouazizi svolgeva l’attività di venditore ambulante abusivo di frutta e verdura nella città di Sidi Bouzid. La polizia gli aveva confiscato tutte le merci, perché privo dei permessi. Lo stesso giorno Mohamed acquistò una tanica di benzina e si diede fuoco di fronte al palazzo del governatore locale. E’ morto il 4 gennaio 2011, nell’ospedale di Ben Arous, a causa delle ustioni riportate.
Che relazione instaura l’Uomo con l’altro e con il mondo? Si muove nello spazio e lascia tracce. Tali tracce vengono interpretate da altri uomini. Alcune possono essere lasciate intenzionalmente: chi le raccoglie, quindi, le interpreta quali tracce comunicative, linguaggio.
Bouazizi ha lasciato un importante frammento di scrittura; adesso non resta che organizzare un testo, filmico.
Qual è l’importanza di questo “testo–traccia”, carico di conseguenze, che accogliamo non senza turbamento?
Null’altro che una scoperta: la fatica di credere nella possibilità del miracolo.
Per due millenni, la maggioranza dei cristiani ha vissuto in un mondo dove l’intervento di Dio, per quanto raro che fosse, era possibile in qualsiasi momento, e per questo sempre atteso. Questo ci mantiene a una regolare distanza dalle religioni della classica Grecia e Roma.
La parola “miracolo” viene dal latino “mirari”, che significa “osservare con ammirazione, stupirsi”, e questo ha il doppio senso di “contemplare e ammirare”.
L’islam non nega il miracolo, però lo ritiene eccezionale, destinato a evidenziare la volontà di Dio anziché a soddisfare una domanda individuale.
Così nell’ebraismo: nell’Antico Testamento, il Signore si manifesta nella Storia per ostentare la scelta del Popolo Eletto, Israele, e per dare ordini attraverso eventi spettacolari, il ritiro delle acque del mare, l’arresto del sole nel cielo, la combustione di un cespuglio che non si consuma. Dopo la distruzione del Tempio, gli ebrei pensano che l’epoca dei miracoli sia finita. Così anche i cristiani dopo il Secolo delle apparizioni mariane.
L’Uomo i miracoli se li comincia a fare da solo. E’ questo tanto incredibile?
I miracoli non sono che la faccia luminosa, positiva, della lotta tra bene e male.
Questa lotta diviene sempre più il cuore di un nuovo umanesimo, in cui il miracolo collettivo è credibile. Così la liberazione dei popoli, l’autodeterminazione, il radicamento delle democrazie, sempre e dovunque. Il miracolo non bada ai mezzi. Non ha forse Dio scelto le cose deboli per umiliare i forti? Quello prodotto da Tarak Ben Ammar, sarà il film “del Miracolo”?
O sarà quello, mistificatore, “dell’incredulità”? (MARCO CARROCCCIO)