MessinaServizi, liquidazione e dubbi: cosa accadrà ai rifiuti messinesi?

Il futuro di MessinaServizi è a un bivio. Il sindaco Cateno De Luca, negli ultimi giorni dell’anno che si è appena chiuso, aveva annunciato tappe precise per la prossima gestione dei rifiuti in città, fissando per oggi l’approvazione da parte della sua giunta della delibera con cui il consiglio comunale dovrà decidere della liquidazione di MessinaServizi, la più giovane delle partecipate di Palazzo Zanca e nata sotto l’ex amministrazione Accorinti. Un’intenzione che il primo cittadino aveva chiaramente manifestato praticamente all’indomani della sua elezione, affidando ad una delle primissime delibere della sua amministrazione la volontà di procedere con la liquidazione di MessinaServizi per affidare ai privati i rifiuti messinesi. C’era però la partita di Messinambiente ancora aperta. E dunque tutto era rimasto in stand-by in attesa di capire cosa sarebbe accaduto sul fronte del fallimento che poi è stato dichiarato dal Tribunale. E così si è aperta un’altra partita, quella che tira in ballo MessinaServizi e la legge Madia che prevede che «Nei 5 anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società in controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le Amministrazioni pubbliche controllanti non potranno costituire nuove società, né acquisire partecipazioni in società già costituite o mantenere partecipazioni in società qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita». Per l’amministrazione De Luca non ci sono dubbi, fallita Messinambiente il Comune non può mantenere il servizio rifiuti nelle mani di un’altra sua partecipata, quindi va liquidata. E’ stato anche chiesto un parere alla Corte dei Conti che ha confermato questa interpretazione. Ma i dubbi non si sono placati. Le tesi sull’effettiva applicabilità della Madia al caso messinese sono diverse. E anche per questo oggi alle 19 il consiglio comunale ha deciso di riunirsi in una seduta straordinaria, richiesto proprio da un gruppo di consiglieri dei vari schieramenti dell’aula che non vogliono fare una scelta al buio e chiedono di approfondire i passaggi clou di una questione così importante. In gioco non c’è solo la sopravvivenza o meno di una società: c’è uno dei servizi essenziali per la città, c’è la modalità di gestione, ci sono più di 500 lavoratori e c’è un giro di affari che supera i 30 milioni di euro l’anno.

Molto critici in queste settimane i sindacati. Un appello al consiglio arriva dalla Cgil e dalla Fp Cgil. I segretari Giovanni Mastroeni e Francesco Fucile, carte alla mano, spiegano le ragioni per cui secondo loro il caso “Messinambiente/MessinaServizi” rappresenti una fattispecie a parte rispetto alla previsioni della Legge Madia.

Per Mastroeni e Fucile, “questa liquidazione non s’ha da fare”, e le ragioni di tale opposizione trovano terreno fertile in un’attenta interpretazione dell’art. 14 del dlgs 175/2016, meglio noto come Decreto Madia.«La situazione che interessa Il Comune di Messina rappresenta una fattispecie ulteriore rispetto a quanto indicato nel suddetto decreto e questo per un motivo ben preciso, ovvero il mancato affidamento diretto del servizio da parte del Comune di Messina. A fine 2004, infatti, Palazzo Zanca affidò l’intero ciclo dei rifiuti all’ATOME3, che subentrò nel contratto Comune-Messinambiente al posto del Comune dal 2005 al 31.12.2010. Successivamente, dal 1.01.2011 al 30.09.2013 l’ATOME3 prorogò il suddetto contratto agli stessi patti e condizioni. Quando l’ATOME3 cessò di operare per decreto regionale, il Comune di Messina, ritenendo cessato il contratto con la Messinambiente e non volendolo prorogare ulteriormente, nelle more di un nuovo affidamento (realizzatosi solo dopo con la Messinaservizi in data 27.07.2017) utilizzò ordinanze contingibili ed urgenti con le quali disponeva che la Messinambiente garantisse la prosecuzione dei servizi di pubblica utilità di raccolta, trasporto rifiuti e spazzamento. Tutto ciò – ribadiscono Mastroeni e Fucile -, ci fa dire che manchino i presupposti per rendere esecutivo il divieto previsto dal comma 6».

Un’analisi a cui Cgil e Fp Cgil aggiungono un’ulteriore osservazione: «La normativa regionale sui rifiuti (legge regionale 9 del 2010 ) rappresenta, a tutti gli effetti, una legge che regolamenta servizi di interesse generale, servizi la cui gestione potrebbe essere compromessa da un’applicazione rigida del comma 6. Infatti, secondo il divieto previsto dal comma 6, sarebbe impedito ad un’Amministrazione pubblica di partecipare con proprie quote all’eventuale costituzione di una società pubblica partecipata da tutti i Comuni dell’ambito delimitato dalla SRR (ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale). Questo divieto, inevitabilmente, – sottolineano i sindacalisti – comprometterebbe la stessa costituzione di una Società pubblica di dimensioni ottimali per la gestione del sistema integrato dei rifiuti e metterebbe in discussione la stessa titolarità della SRR in evidente conflitto con le competenze del Comune capoluogo: in questo senso prevarrebbe l’aspetto punitivo dell’intervento normativo del dlgs 175/16, piuttosto che le ragioni di razionalizzazione ed economicità contenute nella previsione della normativa regionale».

Per il sindacato, dunque, tale interpretazione normativa porta a ritenere «ingiustificata la strada della liquidazione che il Comune di Messina intende intraprendere, animata da altre ragioni». Soffermandosi poi sugli effetti di un eventuale affidamento a privati, il sindacato evidenzia come ciò potrebbe rivelarsi «più onerosodella gestione tramite società in house (con ciò che comporta anche in termini di incremento della tariffa) ed impedirebbe lo sviluppo di una politica pubblica della gestione integrata del ciclo dei rifiuti. Il rischio è ostacolare qualsiasi politica di innovazione del settore, rinunciare a politiche sinergiche di sistema che la gestione pubblica può garantire, nonché mantenere lo smaltimento dei rifiuti sotto il ricatto dei gestori delle discariche. La liquidazione della Messinaservizi Bene Comune – concludono CGIL ed FP – rappresenterebbe un ulteriore elemento di costo per l’Amministrazione comunale che, invece, potrebbe sfruttare lo strumento creato per contribuire ad una gestione più razionale del sistema integrato, anche attraverso la gestione di impianti di proprietà».

Francesca Stornante