Sono le sei del mattino del 29 settembre 2001. In contrada Cartolari si appresta a cominciare una soleggiata giornata d’estate. In mezzo agli alberi, sul ciglio della provinciale che collega San Fratello con la SS 113, tra Acquedolci e Sant’Agata Militello, ci sono una Lancia Lybra e un fuoristrada.
Dietro la radura verde ci sono i Nebrodi, di fronte il Tirreno azzurro e calmo di quel giorno. Poco lontano si aprono le grotte di San Teodoro, a testimoniare che l’uomo abitava quei luoghi già mille anni prima di Cristo. Qui sono stati ritrovati resti di corpi umani e animali e, quasi intatte, le ossa di una donna di quell’epoca antichissima di circa 40 anni, battezzata Thea.
Ma soprattutto sopra questo lembo di verde corre l’autostrada Messina-Palermo, appaltata oltre 30 anni prima e ancora non terminata. Mancano i 41 km che collegano i comuni di Tusa a San Mauro Castelverde. Il tratto sarà inaugurato da Berlusconi 3 anni dopo, dopo 35 anni dalla posa della prima pietra, fiumi di denaro pubblico, appalti, centinaia di estorsioni e decine di morti nella guerra per spartirsi la torta dell’enorme affare.
Dalla Lybra scendono Carmelo Barbagiovanni, esponente oggi pentito dei batanesi di Tortorici, e Sergio Costanzo, che sotto il freno ha nascosto una pistola calibro 7.65 consegnatagli da un altro boss oricense. Dalla Land Rover, invece, Franco Costanza, ufficialmente bracciante agricolo, che in quel momento ha in mano, raccontano i pentiti, ha 15 milioni in cambiali mai consegnate alle famiglie mafiose che controllavano la messa a posto dei tanti cantieri della zona.
Costanza sa che “il culo gli brucia”, le famiglie pensano che si stia allargando troppo imponendo il pizzo autonomamente ai lavori della A20, ma va all’appuntamento perché qualche giorno prima, raccontano ancora i pentiti, in un importante incontro chiarificatore in parte anche sul suo operato, le cose sembravano essersi messe a posto. Costanza non sa invece che, oltre alle estorsioni ai cantieri dei palermitani, le famiglie ce l’hanno con lui perché lo sospettano un “informatore” delle forze dell’Ordine.
“Fingemmo di credergli”, raccontano i penti. In realtà a quel summit la sua condanna a morte era già segnata. Costanza è di Tusa, dove finisce il primo tratto di autostrada. E a decretare la sua fine, su richiesta dei palermitani, sarà la famiglia di Mistretta e San Mauro Castelverde, lì dove, poco dopo, l’autostrada riparte.
Dopo la riunione è proprio Barbagiovanni a mettersi all’opera, conquistandosi la fiducia di Franco Costanza, che invita quel giorno. “Al momento in cui gli stavo iniziando a presentare Costanza, Sergio Costanzo gli esplose un primo colpo di pistola, a distanza di circa 2 metri, ma la pistola si inceppò. La vittima iniziò a scappare ma inciampò scavalcando un recinto. Fu inseguito da Sergio Costanzo che riuscì a sparare colpendolo alle spalle. Franco cadde a terra, Sergio lo colpì con una pietra in testa, poi gli sparò in faccia. Ho visto tutto perché anche io stavo inseguendo Franco. Poi dissi a Sergio di liberarsi della pistola buttandola in mezzo all’erba. Era mia intenzione recuperarla successivamente, poi non lo feci”.
L’allarme scatterà alle 8 meno un quarto di quello stesso giorno, quando un carabiniere in servizio a Mistretta trova nel suo terreno il fuoristrada e il corpo di Costanza.