MESSINA – Hausa, yoruba e igbo sono le lingue più parlate in Nigeria. Ma ci sono molti altri dialetti, mentre una versione africanizzata dell’inglese è parlata come lingua franca tra persone di diverse etnie pur della stessa nazionalità.
E’ stata una delle difficoltà in più dell’operazione Balance, perché gli investigatori hanno dovuto decifrare le conversazioni tra gli indagati, quasi sempre a primo impatto incomprensibili.
Eppure, da uno spunto investigativo minimo, si è arrivati a colpire una cellula messinese di un’organizzazione molto più ampia con ramificazioni nel resto dell’Italia e in Europa, con partenza dalla Nigeria e tramite la Libia, che sfruttava le ragazzine nigeriane, facendole arrivare in Europa con la falsa promessa di una vita migliore e avviandole, invece, alla prostituzione.
Qual è lo spunto? “Una giovane operatrice nigeriana di un centro di accoglienza per minori non accompagnati, a Messina – spiega la procuratrice aggiunta Giovannella Scaminaci -, tornava spesso con nuovi smartphone o con abiti firmati (è la persona latitante, ndr). Si è scoperto che era un’infiltrata attraverso cui l’organizzazione criminale gestiva le ragazzine. L’altro tramite era il messinese Buscemi, che dava informazioni sull’arrivo delle vittime, in cambio di soldi e favori sessuali. La ‘maitresse’ era la Imaha, detta ‘Mama Rita’, che aveva collegamenti sia in Nigeria sia in Libia e sapeva in anticipo quando le ragazze sarebbero partite e arrivate”.
Ma perché operazione Balance? “Era il nome usato per il meccanismo di compensazione del credito – dice il capo del nucleo investigativo dei carabinieri, Ivan Boracchia -. L’organizzazione anticipava i soldi per il trasferimento dalla Nigeria all’Italia e poi costringeva le ragazze a restituirli con gli interessi, usando tecniche psicologiche su ragazzine indifese, che provenivano dalle fasce più povere della popolazione nigeriana. Prima arrivavano in diversi centri siciliani, poi uscivano ed erano avviate alla prostituzione in diverse parti d’Italia”.
(Marco Ipsale)