MESSINA – La Corte di Cassazione ha detto no: non c’è molto da rivedere rispetto alla sentenza d’appello dell’Operazione Beta a Messina, che va confermata quasi integralmente. C’è il sigillo della Suprema Corte adesso al verdetto su una delle più importanti inchieste condotte negli ultimi anni dal Ros dei Carabinieri e dalla Dda di Messina, che ha svelato gli affari dei nipoti messinesi del boss catanese Nitto Santapaola e gli intrecci col mondo professionale e istituzionale cittadino.
Ecco il verdetto che diventa ora definitivo, e che probabilmente fa intravedere il carcere per quelli che devono ancora finire di scontare la propria pena. Perché l’accusa più pesante, quella di associazione o concorso esterno alla mafia, non ammette domiciliari ed è stata confermata.
Il 30 maggio dello scorso anno erano state queste le condanne: due anni e 8 mesi con una parziale assoluzione per il patron di Demoter, Carlo Borella, già presidente dell’Ance Messina, l’associazione dei costruttori; 8 anni di reclusione e assoluzione parziale a Stefano Barbera; 9 anni per l’avvocato d’affari Andrea Lo Castro, 8 anni all’affarista Michele Spina. C’è un solo accoglimento parziale, quello per Gaetano Lombardo, per il quale dovrà essere ridiscussa la condanna a 2 anni decisa dalla Corte d’Appello.
In primo grado, nel 2020, il verdetto era stato molto più pesante. Queste le motivazioni dei giudici che scrissero quel verdetto e che confermarono le conclusioni dell’Antimafia messinese. Alla base dell’inchiesta, insieme ai pedinamenti e le intercettazioni telefoniche del reparto speciale dell’Arma, le rivelazioni del pentito Biagio Grasso, il “geometra” di Borella che entra in contatto con i Romeo-Santapaola, già attivi nel settore del gioco d’azzardo, e li convince a investire nell’immobiliare.
Parte civile nel processo è il Comune di Messina, assistito dall’avvocato Giovanni Mannuccia, mentre gli imputati sono difesi dagli avvocati Salvatore Silvestro, Tino Celi, Nino Favazzo, Giuseppe Lo Presti, Patrizia Picone, Massimo Marchese, Isabella Barone, Alberto Gullino, Francesco Continella e Antonio Catalioto. I loro appelli sono stati in parte rigettati e in parte dichiarati inammissibili.