cronaca

Operazione Matassa, assolti Genovese e Rinaldi

E’ clamorosa la sentenza d’appello del processo Matassa, l’inchiesta sugli affari dei nuovi clan messinesi e gli intrecci con i candidati alle elezioni regionali e amministrative del 2012-2013. Tra loro, l’ex deputato nazionale Francantonio Genovese, il cognato e deputato regionale Franco Rinaldi, i consiglieri comunali Paolo David e Giuseppe Capurro, che sono stati assolti – e prescritti- insieme a Rocco Richici, Giuseppe Picarella, Baldassarre Giunti, Paola Guerrera, Gaetano Freni, Francesco Zuccarello, Lorenzo Papale, Antonino Lombardo e Pietro Santapaola.

E’ una pioggia di sconti di pena, prescrizioni, assoluzioni parziali e totali il verdetto della Corte, che si basa in particolare sul fatto che i reati elettorali sono prescritti appunto, come aveva fatto notare la stessa Accusa. I giudici hanno poi riqualificato altri reati, giudicandoli meno gravi di quanto aveva fatto la Corte in primo grado, ed escludendo le aggravanti mafiose e quelle legate all’associazione per molti episodi contestati. In sostanza in appello l’operazione Matassa ne esce fortemente ridimensionata, se non azzoppata, perché a cadere è proprio l’assunto che ci fu lo scambio elettorale politico-mafioso. Genovese, Rinaldi e David sono stati scagionati del tutto dall’accusa di aver formato una vera e propria associazione a delinquere: assolti perché il fatto non sussiste, è la formula usata dai giudici.

Escono i politici, i portaborse, i “grandi elettori” amici, restano invece nel processo gli esponenti storici e le nuove leve dei clan di Camaro e Santa Lucia sopra Contesse, con qualche sconto di pena e assoluzione parziale anche per loro.

La Camera di Consiglio è durata circa 7 ore. Alle 19.15 circa la Corte presieduta da Alfredo Sicuro ha letto il verdetto:

10 anni di reclusione per Adelfio Perticari, Domenico Trentin, Giovanni Ventura, Salvatore Pulio Giuseppe Cambria Scimone, Lorenzo Guarnera, Salvatore Mangano e Fortunato Cirillo, 4 anni e mezzo per Francesco Celona, 11 anni e 10 mesi per Giovanni Celona, un anno e mezzo per Antonio Chillè, 7 anni per Andrea De Francesco e Francesco Foti, 22 anni per Raimondo Messina, 3 anni e mezzo per Rocco e Massimiliano Milo, 16 anni e mezzo per Gaetano Nostro, 7 anni e 4 mesi per Giuseppe Pernicone, 7 anni e mezzo per Francesco Tamburella, un anno e 10 mesi per Concetta Terranova, 13 anni al boss di Camaro Carmelo Ventura.

La sentenza di primo grado risale al 1 ottobre del 2019 e si è chiusa con la condanna di tutti e 39 gli imputati alla sbarra.

Al centro del processo c’erano da un lato gli equilibri all’interno dei clan di Camaro e Santa Lucia sopra Contesse, dall’altro i contatti in periodo elettorale tra gli esponenti degli stessi clan e i Genovese e i candidati al consiglio comunale. A provare l’intreccio, o la “Matassa” appunto, secondo i giudici di primo grado erano le intercettazioni e i pedinamenti effettuati dalla Squadra Mobile di Messina, confermati dopo dalle dichiarazioni degli imprenditori Pernicone, condannati perché legati alla criminalità di Santa Lucia sopra Contesse.

La contiguità tra il livello politico e quello mafioso è stato di scontro tra Accusa e difese in appello, come lo è stato durante il processo di primo grado, come l’utilizzabilità delle intercettazioni, che secondo i difensori non potevano essere considerate dai giudici.

Il processo ha visto impegnati gli avvocati Nino Cacia, Nino Favazzo, Salvatore Silvestro, Domenico Andrè, Daniela Agnello, Orazio Carbone, Alessandro Billè, Carlo Autru Ryolo, Dario Bertuccio, Letterio Cammaroto, Giuseppe Carrabba, Antonio Giacobello, Giacomo Iaria, Decimo Lo Presti, Massimo Marchese, Filippo Pagano, Tancredi Taclò, Rosario Scarfò, Beatrice Rinaudo.