REGGIO CALABRIA – La ponderosa (2.143 pagine) ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma Gaspare Sturzo e alla base dei 77 arresti per l’inchiesta Propaggine, attuata dagli uomini della Direzione investigativa antimafia e coordinata dalle Dda di Roma e Reggio Calabria, mette in chiaro fra l’altro il ruolo del clan Alvaro-Penna di Sinopoli nell’elezione di Antonino Gioffrè, nel 2018, quale sindaco di Cosoleto, vicino centro della Tirrenica reggina.
Le Amministrative nel paesino pianigiano, vi si legge, erano «tradizionalmente oggetto di un controllo del voto da parte della ‘ndrangheta». Non sorprendente, dunque, lo scioglimento dell’Amministrazione comunale cosoletana sotto la sindacatura di Luigi Carmelitano, peraltro richiamato da una conversazione tra Antonio Carzo e il figlio Domenico («A suo tempo a coso… a Gino l’hanno cacciato proprio per me»); mentre nel 2017 proprio “ ‘Ntoni” Carzo spiega a Ferdinando Ascrizzi d’aver appoggiato pure la candidatura a primo cittadino di Rocco Foti.
Apparentemente, nel 2018 il posizionamento dei Carzo era “telefonato”, perché a fronte della ricandidatura dell’uscente Gioffrè c’era la candidatura a primo cittadino di Giuseppe Casella, che con Antonio Carzo era imparentato, per cui il sostegno del clan a favore di Casella pareva scontato.
Ma le cose non andarono affatto così.
Da un lato c’era la questione del possibile appoggio a Casella posta all’attenzione delle forze dell’ordine: con una falsa segnalazione, si scoprirà in seguito.
Su altro fronte, lo stesso Carzo senior fa presente che Gioffrè avrebbe promesso un posto di lavoro per Annunziata Maria Catena Modafferi, figlia di Raffaele Modafferi e fidanzata di Vincenzo Carzo (altro figlio di Antonio).
Peraltro, benché Antonino Gioffrè secondo gli inquirenti abbia goduto del supporto degli Alvaro-Penna, Casella non fu eletto per soli sette voti. In effetti, Gioffrè – supportato dalla civica Alleanza civica per i Valori – conquistò 289 suffragi contro i 282 di Casella, sostenuto dall’altra civica Insieme per rinascere.
Quando il primo cittadino eletto tentò di non rispettare i “patti” Antonio Carzo, «molto contrariato dall’atteggiamento del sindaco uscente» lo minacciò d’aggredirlo fisicamente e di tornare a chiedergli il “pizzo” per il bed and breakfast “Casa Gioffrè”. «A ‘sto cornuto gli devi dire – si legge tra l’altro nelle intercettazioni dell’inchiesta Propaggine – che deve incominciare a dargli un’altra volta i soldi a mio padre».
Finì, però, come piaceva ai clan. Emerge infatti dall’indagine che «nell’ottobre del 2018 e nel febbraio 2019 il Comune di Cosoleto aveva assunto, a tempo determinato e nell’àmbito di progetti Garanzia Giovani, diversi rampolli di famiglie di ‘ndrangheta, fra i quali i già citati Carzo Vincenzo, Ascrizzi Alfredo, Licastro Domenico (detto Micu ‘u Biondu), Rechichi Domenico (figlio di Rechichi Antonino) e Alvaro Nicola (figlio di Alvaro Francesco detto Ciccio Testazza, capolocale di Cosoleto)».
In tutto questo, denotano gli investigatori, il rieletto primo cittadino scelse quale vice Giuseppe Modafferi, simultaneamente nipote di Antonio Massaru ‘Ntoni Alvaro e di Raffaele Modafferi, padre della fidanzata di Vincenzo Carzo.