Bossi ha fatto una scelta ormai in disuso: si è dimesso, una roba fuori moda, una specie in via d’ estinzione in Italia. E lo ha fatto mentre intorno tutti lo supplicavano di non farlo (o almeno fingevano benissimo di implorarlo).Il padre della Lega, travolto dall’affaire Belsito (il tesoriere coinvolto in una storiaccia di appropriazione indebita dei rimborsi elettorali, riciclaggio e truffa) ha fatto il gran gesto e si è dimesso da segretario federale del partito da lui creato. Incredibile, in Italia, senza neanche l’ombra di una richiesta d’autorizzazione a procedere , un avvisuccio di garanzia, senza un processo giunto all’ultimissimo grado di giudizio possibile (quello Universale) , senza neanche aspettare il terzo giorno di polemiche, senza appellarsi al garantismo, alla presunzione d’innocenza, alla pace tra i popoli e al boia chi molla, Bossi si è dimesso. E ha persino detto “Lo faccio per il bene della Lega”, sentimento che dovrebbe animare quanti sono nella sua stessa situazione ma se ne fregano ampiamente del bene degli altri e dell’istituzione o partito cui appartengono. Se non fosse per quel “vaffa” urlato al giornalista accompagnato dall’invito alle guardie del corpo “picchiatelo”, potrebbe persino essere rivalutato. Suvvia onorevole, in Italia non si dimette nessuno, figuriamoci poi così presto, a poche ore dalle inchieste. Suvvia, ma che figura farà fare a chi, con pesi analoghi o più grossi sulle spalle non si è neanche azzardato a pensarle le dimissioni? Invece lei, senza neanche gridare al complotto delle toghe rosse, senza annunciare “mi dimetterò quando sarà ufficiale il rinvio a giudizio, anzi no, il primo grado, anzi no, il secondo grado, anzi, crepi l’avarizia, in Cassazione” ha lasciato tutti sbigottiti dimettendosi seduta stante? Ha fregato tutti, sopratutto quelli che già pregustavano il tiro al bersaglio, ovvero l’invito al “passo indietro” ben sapendo che non l’avrebbe mai fatto. Ha tolto il piacere a tutti di ricordargli che in Inghilterra, Germania, Francia, America, Universo, la gente si dimette per molto meno. Già si sfregavano le mani pronti al coro: “Ma come, un ministro inglese si è dimesso perché lo hanno scoperto che aveva accollato alla mogliettina la multa per alta velocità e lui, travolto da ben altro è ancora lì”. Che pessimo esempio caro Bossi, che sfacciataggine nei confronti dei più noti recordman d’attaccamento alla sedia, degli specialisti del “mi dimetterò quando”, degli Highlander delle sentenze giudiziarie. Uno ce lo abbiamo in casa, a Palermo. A Lombardo sarà preso un colpo sapendo che Bossi si è dimesso senza aspettare neanche una briciola d’imputazione coatta, un’ombra di rinvio a giudizio. E il Pd pronto a sparare a zero sui cattivissimi della Lega adesso si troverà con qualche cartuccia in meno nel continuare a sostenere un presidente della Regione (innocente fino a prova contraria) ma che continua a non fare un passo indietro posticipando ad eventi giudiziari di mese in mese decisioni che, almeno sotto il profilo etico, avrebbe dovuto prendere da tempo. C’è chi non aspetta il coro unanime di magistrati,opposizione, gente, elettori, e si alza. Probabilmente qualcuno dirà: una mossa astuta quella di Bossi, altri invece diranno: un gesto di rispetto verso il suo elettorato. O forse deve essere proprio impazzito, in Italia uno che si dimette a poche ore dalle indagini non esiste. Li puoi cogliere con le mani nel sacco, persino in decine di sacchi, ma le dimissioni mai. E’ questione di principio per loro, proprio non ci riescono a pronunciare certe parole. La parola “dimissioni” non esiste nel vocabolario di alcuni, esattamente come la parola “vergogna”.
Rosaria Brancato