In questi giorni è balzata all’onore – o meglio sarebbe dire al disonore – delle cronache la notizia che il prof. Dario Tomasello, associato di Letteratura contemporanea all’Università di Messina, avrebbe vinto il concorso di professore ordinario nonostante i suoi lavori scientifici sarebbero stati riconosciuti come frutto di un copia-incolla di saggi di un suo vecchio “maestro”, il prof. Giuseppe Amoroso. A rivelare il fattaccio si sarebbe giunti grazie alla denuncia di un altro accademico, il prof. Giuseppe Fontanelli, associato pure lui della cattedra di Letteratura contemporanea nella medesima università ma in diverso dipartimento, che avrebbe partecipato allo stesso concorso con esito negativo. Questo è più o meno il contenuto e il tenore di un articolo uscito sul Corriere della Sera a firma di Gian Antonio Stella.
Da qui in poi ovviamente sui media tradizionali e sui social network è partita la scontata raffica di insulti, inviti a vergognarsi, a dimettersi, a spararsi, a sputarsi in faccia cui ormai anni di dialettica populista ci hanno abituato come fosse cosa buona e giusta, il legittimo urlo di dolore di un popolo inerme che non ha altri mezzi per farsi sentire e chiedere giustizia perché tutti sono corrotti e ladri.
Ora, io – lo dico subito per chi non lo sapesse – conosco Tomasello e ho avuto occasione di saggiarne le doti scientifiche prima e umane poi, per cui, a differenza di quelli che oggi lo insultano, spesso senza conoscerlo nemmeno, potrei spendere qualche parola in proposito con cognizione di causa. Ma la mia esperienza è personale e non voglio cadere nell’errore di personalizzare un discorso che cerca di mantenersi semplicemente razionale. E allora cercherò intanto di infilare uno dietro l’altro un po’ di fatti in ordine cronologico e logico per dare un quadro più chiaro della vicenda. Non ho la presunzione di dire che sarà un elenco esaustivo, perché nemmeno io ho a disposizione tutti i dati della questione (ma di certo ne ho qualcuno in più di quelli che gridano allo scandalo). Cominciamo a distinguere i fatti dalle imprecisioni.
1. Tomasello non ha vinto né ha partecipato ad alcun concorso. Ciò che erroneamente viene definito concorso è in realtà un’abilitazione nazionale al ruolo di professore ordinario, in cui una commissione composta da membri italiani e stranieri valuta la qualità e quantità dei titoli dei candidati. Tomasello, che è professore associato nel Dipartimento di Scienze Cognitive dell’Università di Messina e all’epoca della selezione poteva vantare un curriculum comprendente circa un’ottantina di pubblicazioni, è stato ritenuto idoneo. Fontanelli, pure lui professore associato di altro dipartimento del medesimo ateneo (Civiltà Antiche e Moderne), non ha invece conseguito l’abilitazione. Quand’anche però, per un qualunque motivo, avessero revocato l’abilitazione al primo, ciò non avrebbe influito affatto sulla valutazione del secondo. Sono questioni separate.
2. A dire del prof. Fontanelli, che ha denunciato per plagio il suo collega, l’origine della sua iniziativa risiederebbe in una (cito dall’articolo del Corriere) “folgorazione, una chiaroveggenza del caso, uno strappo nel cielo di carta” che lo avrebbero portato, rileggendo casualmente i lavori di Tomasello (alcuni dei quali vecchi di dieci anni), a rinvenire tracce dello stile del prof. Amoroso di cui anch’egli è stato degno e fedele allievo. Orbene, questa “folgorazione” risale a più di due anni fa e gli si è presentata alla vigilia di un senato accademico in cui si sarebbe dovuto bandire un concorso per la cattedra di professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea, ruolo al momento vacante all’Università di Messina, con relativo vuoto di potere. La conseguenza di quel concorso sarebbe stata che l’unico messinese abilitato a parteciparvi (e dunque forse a vincerlo) sarebbe stato Tomasello, ossia l’unico messinese dotato della sopra descritta idoneità. A motivo della denuncia, invece, il rettore ha sospeso tutto e rimandato gli atti al Ministero. Il Ministero ha riconvocato la commissione esaminatrice sottoponendole le questioni denunciate e chiedendo una nuova valutazione.
3. La denuncia, a quanto pare, sarebbe stata inoltrata anche alla Procura della Repubblica.
4.Uno dei dati curiosi, quasi paradossali, della vicenda, come fa notare il sociologo Pietro Saitta in un suo articolo molto ben documentato, è che proprio il prof. Amoroso, ossia la vittima del presunto plagio, ha recensito già nel 2006 il saggio di Tomasello posto al centro delle accuse, e lungi dal far notare l’imbroglio o dal criticarlo, che fa? Parla di: “uno studio originale e ricco di taglienti aperture critiche”; dice che con “rigore di metodo vengono studiati i nessi fra vari nuclei, il gioco dialettico dei ritmi’, e via via altre argomentazioni elogiative.
5. La Procura della Repubblica, intanto, a quanto è dato sapere non pare abbia dato seguito procedurale alla denuncia (non conosco i motivi ma immagino non vi fossero estremi di reato, altrimenti vi sarebbe stata una richiesta di rinvio a giudizio).
6. La commissione convocata dal Ministero ha ribadito l’idoneità di Tomasello nonostante la denuncia di plagio. Anche qui non ho letto i verbali e posso fare solo ipotesi, ma i casi possono essere solo due: o ha ritenuto che non vi sia stato nessun plagio, o ha risolto il problema alla radice valutando soltanto i titoli non ricompresi nella denuncia di plagio, e questi sono bastati per confermare la valutazione positiva. Del resto, i titoli incriminati non dovrebbero essere più di due o tre mentre la produzione di Tomasello, stando al suo curriculum accademico, ricomprende svariate decine fra saggi pubblicati dalle migliori case editrici nazionali, articoli su riviste scientifiche di prima fascia nazionali e internazionali e dunque si tratta di titoli soggetti a peer reviewing (cioè a una valutazione incrociata severa, autonoma e impossibile da manipolare).
7. Alla luce di ciò il Ministero scrive all’Università e dice che Tomasello è idoneo e dunque la denuncia non compromette nulla, per cui il concorso si può bandire e Tomasello può partecipare.
8. A questo punto, di nuovo alla vigilia del concorso, quando si sta sorteggiando la commissione, arriva l’articolo di Gian Antonio Stella che spara il titolone: “Copia ma non perde il concorso”. Come dire che uno viene giudicato per l’accusa di furto e assolto con sentenza perché il fatto non costituisce reato, ma il titolo di giornale che ne parla recita: “Ruba ma non va in galera”.
9. In ragione di questo articolo, di nuovo tutti a urlare vergogna Tomasello vergogna e chissà, magari rimandano di nuovo il concorso.
Fino a qui, i fatti, ora la mia opinione, fallace e parziale come ogni opinione.
A me pare che la circostanza che Tomasello abbia plagiato o meno non importi a nessuno in nessuna occasione salvo quando c’è da far saltare periodicamente il concorso al quale dovrebbe candidarsi. Forse in attesa che vi si possa presentare qualche altro candidato idoneo. Mi pare insomma l’episodio di una lotta di potere che si combatte unicamente per logiche e finalità accademiche.
Ma non è solo questo. Non si spiegherebbero altrimenti i toni e i puntualissimi accanimenti. No, io credo anche che vi sia, fra certi gangli del potere universitario messinese, un vero e proprio dissidio filosofico e stilistico, circa il modo di intendere la vita, le gerarchie e i ruoli. Chi conosce Dario Tomasello, lo ha ben presente senz’altro come un bulimico di vita, uno che non si ferma mai, in costante fermento intellettuale e fisico. Un ottimista, uno straripante, uno che cento ne fa e mille ne pensa. La sua vita e la sua carriera sono un continuo avvicendarsi di incontri, scontri, progetti, collaborazioni, confronti, studi variegati e interdisciplinari, pubblicazioni, organizzazioni di convegni, di spettacoli teatrali, di laboratori interdipartimentali, di letture e scritture. Lo si evince dal suo curriculum accademico, così sfrontatamente gonfio e debordante (lo si può consultare nel sito dell’università). Quando ti incontra, poi, Dario Tomasello ti abbraccia, ti tocca, ti coinvolge, ti dà e si fa subito dare del tu, accorcia le distanze chiunque tu sia, dallo studente (che se ne stupisce) al venerabile decano dell’accademia (che a volte s’incazza). E se vuole una cosa lo dice subito e agisce per procurarsela, non rimane certo fermo ad aspettare il parere degli anziani.
Di contro, abbiamo la tradizione del potere accademico, consapevole di sé e orgogliosa della propria elitarietà. Come unico sfoggio, quello di una cortesia nobile che però mantiene un certo distacco, una contegnosa stringatezza (anche questo dato stilistico lo si può cogliere nei curriculum di ateneo, molto più iconici, sintetici, discreti). Un mondo molto chiuso, fatto di rigidi protocolli e di precedenze cui non si deroga. Un mondo ripiegato su se stesso, in cui lo studio non è mai spettacolarizzato e giammai condiviso ma esaurito e concluso nel buio di biblioteche locali; un mondo in cui, come diceva un decano assai amato e assai odiato di queste lande, bisogna studiare “i minimissimi” cioè quegli autori talmente marginali che nessuno li conosce, di modo che nessuno ti possa cogliere in fallo nella monografia che gli dedicherai e che ti porterà a vincere il concorso e a fare la tua brava carriera senza troppo rumore, senza fanfare, senza anzi che nessuno nemmeno se ne accorga. Il fatto è, però, che, partendo dalla perifericità di un luogo come Messina, spesso con un simile atteggiamento, soprattutto con il nuovo ordinamento universitario fatto di abilitazioni nazionali, non ci si riesce appunto ad affermare in ambito nazionale, condannando se stessi e il proprio ateneo, o quantomeno il proprio settore di provenienza, all’irrilevanza accademica.
Paradossalmente anche il plagio che gli contestano assume i toni del rimprovero metodologico e filosofico. Ma come, sembra quasi gli dicano, invece di fare come tanti eccellenti professori del passato, che si facevano scrivere i libri dagli allievi, senza rischiare denunce né figuracce, cosa fai? Ti metti tu a copiare dai libri dei tuoi maestri? Cos’è il mondo all’incontrario? Beccati questa lezione, allora.
Uno a questo punto potrebbe dire, ma insomma questo Tomasello ha plagiato o no?
Dalle decisioni delle autorità preposte a stabilirlo, pare di no, visto che la commissione ministeriale che doveva valutarlo e la Procura della Repubblica che ha ricevuto la denuncia non vi hanno dato peso. In questo paese però l’Autorità si rispetta solo quando ci dà ragione e in caso contrario si dà per scontata la sua corruzione, dunque ognuno può dire, e di fatto dice, quel che gli pare. Tutto è opinione.
Ma il plagio non è e non dovrebbe essere un’opinione, poiché è un evento che ha rilevanza giuridica e che invece richiede, tecnicamente e giuridicamente, la presenza di requisiti specifici. Requisiti come il fatto che vengano prelevate non soltanto alcune parole o foss’anche qualche pagina, ma l’idea, il senso posti alla base di un’opera d’ingegno, e vengano riportati pari pari in un’altra in modo che quest’ultima non abbia carattere creativo e di novità. Si tratta di un artificio molto più complesso e articolato di quello che sembra emergere dagli stralci della denuncia in questione. Immagino che proprio per questo la commissione ministeriale e la Procura non abbiano rilevato reali o significative anomalie.
A me pare del resto inverosimile che Tomasello – per motivi e logiche che francamente mi sfuggono ma che di certo denoterebbero una sorta di intento autodistruttivo – abbia scientemente preso di peso una manciata di pagine da opere del prof. Amoroso (cioè di uno studioso dallo stile fiorito che a Messina tutti gli esperti del settore conoscono benissimo) per trasferirle, ancora riconoscibilissime, in due o tre sue pubblicazioni che vertono su argomenti del tutto diversi, mettendo così a rischio una carriera già avviatissima. Perché, attenendosi a quanto emerge dai suddetti stralci pubblicati o riassunti sugli organi di stampa, di questo sembrerebbe trattarsi. A che pro? Non poteva Tomasello non sapere che qualcuno se ne sarebbe accorto, vista la notorietà del prof. Amoroso. E anche se le cose fossero andate così, a ben vedere, non solo non vi sarebbe plagio, perché non ne ricorrerebbero i requisiti specifici, ma ci troveremmo davanti a una sorta di autolesionistico sabotaggio futurista, a una performance dadaista, a uno sberleffo surrealista il cui autore, in sommo spregio del proprio stesso buon nome, rivitalizza parole altrui conferendovi un significato del tutto diverso, perché diverso diventa il contesto e l’oggetto della critica. Indipendentemente dalla volontarietà dell’atto, si tratterebbe addirittura di una gigantesca messa in discussione dell’istituto della Critica in sé.
Al netto delle nostre ipotesi oziose, comunque, che non vi sia stato niente di niente come ha confermato la commissione ministeriale, o che si tratti di un equivoco ingigantito ad arte, o di gesto autosabotatorio, in ogni caso da un punto di vista tecnico non pare vi sia nessun plagio. Ha senso allora che questo episodio invalidi o infanghi tutta la carriera e l’intera produzione scientifica di Tomasello? Che bruci migliaia di pagine di lavori pubblicati, mai contestati e anzi valutati positivamente da commissioni ministeriali, editor e peer reviewer, comitati di redazione di case editrici e riviste di caratura nazionale e internazionale? Che faccia incespicare la sua oratoria sciolta, che appanni la sua dialettica altrimenti nitida, che infami la sua didattica e la disponibilità costante manifestata a tutti i suoi studenti? In poche parole, basta questo a spostare la lancetta della valutazione da pienamente idoneo all’ordinariato a reietto dell’umanità? Io credo di no.
Al termine di questa fin troppo lunga dissertazione, mi riservo l’unica presunzione di dire che, sia come sia, Dario Tomasello rimane, fra i protagonisti del mondo culturale messinese, quello più portato alla divulgazione e il più prolifico e utile alla comunità, perché la sua cultura e la vitalità intellettuale quasi parossistica gli consentono, e forse gli impongono, di organizzare e condividere in una stagione quello che altri membri di quella stessa comunità non hanno fatto in una vita intera.
Guglielmo Pispisa