S’incontrano a metà strada il serio e il faceto nel progetto “Fotografa da ‘sto balcone”. Se il tema di fondo è pregno di risvolti politici e mostra a chiari caratteri le venature di insoddisfazione per l’anacronistico rapporto che la città di Messina vive con il proprio territorio, dall’altro lato la chiave di lettura sarcastica con cui il problema è affrontato si rivela l’arma vincente per accattivare la pubblica attenzione che, di fatto, ricambia compiaciuta con una pronta partecipazione.
Si tratta di scattare foto dal proprio balcone di casa, non richieste doti particolari né strumentazioni specifiche. Solo una buona visuale, uno scatto nitido, lo sforzo successivo di postare il proprio “prodotto” sul wall facebook dell’evento.
C’è chi non coglie appieno l’iniziativa di fissare nella pellicola (ormai digitale) lo scempio urbanistico che da anni rappresenta lo scenario di un’attività indefessa di tecnici e “addetti ai lavori”. Chi semplicemente s’immagina di partecipare alla classica attività natalizia, forse un po’ “sui generis”, consistente nell’affastellare on line figure di addobbi e lucine natalizie che intervallano, sotto le feste, lo sfondo ben più maestoso del nostro Stretto. Chi si industria anzi! a dare del panorama fotografato l’interpretazione più romantica possibile.
“Si tratta di un 25% dei partecipanti” – spiega l’organizzatore dell’iniziativa e critico d’arte, Mosè Previti – che forse per ingenuità, forse per la troppa fretta di mostrare orgogliosi gli scorci visibili dal proprio balcone, poco si soffermano sulle parole caustiche con cui lo stesso Previti traccia i contorni dell’evento chiaramente canzonatorio, assieme agli altri due artefici dello stesso, il fotografo Gianmarco Vetrano e il sociologo Pier Paolo Zampieri. “Ma anche in questi casi i tasselli cittadini immortalati dalle lenti degli obiettivi fotografici, non mancano del tutto la mira e si uniscono – malgrado le reali intenzioni dei loro autori – a comporre un mosaico interessante che non può non riflettere la noncuranza tecnica con cui la nostra città è stata fatta crescere dopo i tragici eventi del sisma del 1908 – ha incalzato Previti.
Sono ben 150 scatti che in appena 64 giorni, a partire dal 19 ottobre, hanno fornito l’input per elaborare una riflessione che vada al di là dei toni leggeri con cui l’iniziativa si è imposta a un pubblico virtuale di ben 2200 persone e che si concluderà con un pubblico dibattito, “più una chiacchierata che altro”, il 2 gennaio del 2015, a partire dalle ore 18 a Maregrosso.
Maregrosso, la parte estrema della città, una sorta di periferia in pieno centro che più si incarna come simbolo del rapporto ambivalente che la città intreccia con i suoi luoghi, sedi da millenni di un equilibrio armonico tra risorse naturali e vocazioni produttive, oggi scenario disgregante e disarticolato, privato delle proprie potenzialità comunicative, “manifesto di inefficienza tecnica, ottusità estetica e malaffare” che costruiscono un intreccio degradante di “dis-ordine istituzionalizzante” e danno vita a uno skyline a tratti inquietante che è il degno prodotto dell’espansione sfolgorante di un’urbanistica selvaggia.
E proprio Maregrosso accoglierà, dunque, la proiezione di tutte le foto e gli interventi dei volontari partecipanti, tra cui – si anticipa già – gli stessi organizzatori, l’ex ingegnere capo del genio civile Gaetano Sciacca, il giornalista Daniele De Joannon, l’architetto Luciano Marabello e il ricercatore di cinema e fotografia, per conto del progetto di moda e design “Cultee”, Francesco Parisi.
E non si risparmia nemmeno un attento monitoraggio di quelle operazioni pseudo-politiche che – spiega Previti – hanno determinato “la cacciata dell’ex ingegnere capo del genio civile Sciacca”, ultimo baluardo contro il dilagare dell’irresponsabile accozzaglia paesaggistica, coloritamente definito come il “vero outsider tra gli insediati dei piccoli potentati vetero feudali cittadini” e, per questo, vittima sacrificale, sull’altare del disimpegno sociale e dell’approfittamento comune e generalizzato, di un esilio coatto.
Ma la soluzione che consenta di ribaltare le immagini di un porto che – incalza Previti – “è oggi un recinto per taxi e turisti” e l’appiattimento delle antiche specializzazioni manifatturiere che eccellono ormai soltanto “nelle molteplici forme dell’arancino”, è quella di riunire i cittadini, instillare in loro il seme della consapevolezza, della coscienza che un atto d’ammenda deve ancora essere assolto da chi, questa città, proprio non l’ha amata, che tutti essi “come bravi nipoti” possono supplire alla stanchezza in cui l’attuale casta di ingegneri e architetti versa, per aiutarla ad “imboccare la gloriosa strada della pensione!”.
Nessun mezzo termine né parola non detta, insomma, dagli autoproclamatisi paladini dell’ordine (urbanistico) ristabilendo. Neanche John Ruskin viene risparmiato alla lotta ad armi impari contro il degrado architettonico e le sue parole gli vengono strappate per assurgerle al simbolo della campagna: “il paesaggio riflette l’ordine morale della collettività. Perciò è il luogo chiave della responsabilità sociale. In esso le istanze politiche e sociali di oggi sono obbligate a confrontarsi coi valori della bellezza, della natura e della memoria, in funzione del futuro. In ciò che facciamo al paesaggio la nostra società misura se stessa”. (Sara Faraci)