Cateno di coraggio ne ha tanto, o forse è quella lucida follia che lo spinse a mettersi in mutande all’ARS. Oppure è solo esibizionismo, mania di grandezza, una ipertrofia dell’Ego, autocompiacimento o disperazione.
Qualsiasi sia la motivazione, Cateno De Luca, capitano certamente coraggioso di una città dolente, ha avuto la forza di ricordarci “il compagno Tito” dittatore della ex Jugoslavia capace negli anni ’60 del secolo scorso di parlare per otto ore consecutive per il giubilo dei suoi compagni di partito, sentenziando, condannando senza appello o assolvendo i protagonisti degli ultimi anni di questa città, che di metropoli ha soltanto l’appellativo.
Ha stravolto le regole della politica e anche fatto rabbrividire i politicanti di professione, superandoli in quella che sembrava demagogia, ma che ha dato impressione di potere davvero esistere in quanto svolta concreta nella gestione della cosa pubblica.
Ha annunciato le dimissioni dalla ambita carica e le ha smentite nello stesso istante. Poi si è presentato, petto in fuori, ai colpi del nemico, ma costringendolo a sparare a salve. Si è preso gioco degli avversari, rivolgendo cannonate ai bordi dell’accampamento, lasciando però immaginare che il colpo successivo potrebbe colpire chi lavora contro di lui, o chi semplicemente esprime una idea non conforme alla sua.
Ha sfidato politici e magistrati senza alcun timore.
Ha fatto arrossire e confuso i cultori del tatticismo politico e gli appassionati delle strategie politico-economico-manageriali.
Ha preso in solitudine ogni decisione lasciando nell’incertezza e nell’attesa non soddisfatta una intera comunità ed un disorientato consiglio comunale che si domanda quanto ci sia di vero nel rischio di andare a casa dopo tanti sforzi e dopo una triste e verbalmente violenta campagna elettorale.
Cateno ha stravolto le leggi della strategia militare utilizzate anche in ambiti organizzativi e politici che più di due millenni furono scritte in un’opera conosciuta quasi quanto la bibbia: l’arte della guerra.
Non me ne voglia l’autore, il maestro cinese Sun Tzu, ma dopo due millenni, nella mini metropoli di Messina, Cateno ha fatto della sua guerra un’arte e con questa arte, a volte alquanto folkloristica, intende governare stravolgendo i principi strategici seguiti da capi di stato, generali e condottieri. E alla fine, come è solito fare, di questa sua esperienza scriverà l’ennesimo manuale auto celebrativo: Cateno va alla guerra.
Mentre Messina resta a guardare tifando a favore o contro, ormai abituata a piangersi addosso, senza conoscere tregua e senza conoscere resilienza.
F. Divino