La Procura di Palmi ha chiesto il rinvio a giudizio di Klaus Davi per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Secondo il Pm Giorgio Panucci, in una serie di inchieste dedicate ad Angelo Tutino, nipote del boss di Rosarno Giuseppe Pesce detto ‘Unghia’, il giornalista italo-svizzero ne avrebbe leso l’immagine e la reputazione pubbliche.
Nella notifica inviata dalla Procura al noto massmediologo si legge, tra le altre cose, che Davi “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, comunicando con più persone, con il mezzo di stampa, offendeva l’onore e la reputazione di Tutino Angelo (…)”; e ancora: “(…) con l’aggravante di aver attribuito alla persona offesa un fatto determinato e recato l’offesa col mezzo della stampa, nonché con l’uso dello strumento di pubblicità on line costituito dal social network Facebook”.
Lo rende noto l’avvocato di fiducia di Klaus Davi, Francesco de Luca, del Foro di Vibo Valentia. Gli articoli incriminati dalla Procura di Palmi risalgono al 2018 e sono intitolati “Il Boss invisibile”, “Angelo Tutino ‘Ndranghetista Underground”, “Angelo Tutino il Principe degli Strozzini”.
Non si è fatta attendere la replica di Klaus Davi: «In Calabria il concetto di libertà di stampa e di cronaca assume caratteristiche feudali se non paleolitiche quando si affronta il tema ‘Ndrangheta.
È una regione che non interessa a nessuno, di cui nessuno si occupa (lo vediamo anche in questi giorni con la gestione catastrofica della questione immigrati), per cui anche il dibattito sull’informazione e i suoi diritti è fermo all’età della caverne perché a nessuno, né allo Stato, che non ha mai levigato norme che tutelino il nostro operato, nè tantomeno alla ‘Ndrangheta preme affrontare questa questione.
Consapevoli di questa condizione, le famiglie di ‘Ndrangheta gonfiano il petto e arruolano avvocati miliardari per contrastare la libertà di cronaca e impaurire i giornalisti. E spesso ottengono ottimi risultati perché con questo escamotage alcuni (non tutti, sia chiaro) si piegano e cessano le inchieste scomode. Se la famiglia Pesce con questi mezzucci da quattro soldi pensa di fermarmi si sbaglia di grosso, ma davvero di grosso.
Vogliono la guerra? L’avranno! In tribunale dimostreremo la correttezza del nostro operato e difenderemo le nostre ragioni con la massima fiducia verso l’autorità giudiziaria che saprà giudicare il nostro operato», ha commentato Klaus Davi, autore delle inchieste incriminate dalla Procura di Palmi.