Il fax "sputa" richieste a ripetizione ma finiscono tutte nel cestino. L'azienda chiude, nonostante l'importante mole di commesse che arrivano infischiandosene dello stato di crisi. Abbiamo lasciato così l'edificio dove sorgevano gli ormai ex Molini Gazzi, in via Bonino. Identità ridotta in polvere e macerie. Avviata ormai da settimane l'opera di smantellamento dello storico edificio: non si parla più di delocalizzazione dell'attività, di prosecuzione della produzione altrove, di nuovo impiego dei dipendenti. Il tempo delle promesse, delle prospettive divenute illusioni, ha lasciato spazio alle ruspe. Come santa edilizia vuole.
A prendersi beffa del glorioso passato, più di quanto sia stato fatto dalla chiusura dei Molini, è il nome del moderno centro residenziale che prenderà il loro posto: "I Granai". Quasi a voler immaginare un contatto con il passato che diciamocelo chiaramente: non c'è. Il sudore dei lavoratori trasformato in scale, ascensori ed appartamenti. Il celebre stemma che compariva nelle buste dei panifici sciolto nel cemento di uffici e locali commerciali. E' la dura legge del mercato, la storia che spinge al cambiamento. In una linea però, che ancora oggi non sappiamo dove ci porterà.
Non siamo nelle condizioni di poter più eccepire nulla sulla costruzione del residence. Il Tribunale Amministrativo di Catania ha risolto lo scorso ottobre la controversia tra la Spa di Pulejo e il Comune di Messina, dando l'ok alla costruzione nonostante i tentativi di palazzo Zanca di bloccare il progetto perché difforme al Prg. Il livello di edificabilità dell'area, cambiato dal consiglio comunale da B1 a B4 ha fatto il resto. Anche dal punto di vista territoriale le cose sono molto mutate: la zona sud si avvicina sempre più al centro cittadino, così anche la Zir, dove sorgono ancora tante aziende ma intorno più palazzi ed edifici, viene ormai concepita come paesaggisticamente inidonea ad ospitare produzioni come l'ei fu Molini Gazzi. Ma c'è una questione "morale" che ferisce a pelle, mentre l'incosistenza programmatica rischia di assestare il fendente decisivo al futuro della nostra città.
Un nome non può restituire quello che l'assenza assoluta di prospettive sta togliendo ad una Messina incapace di reagire. La pagina è cambiata, preoccupa la fine del libro. Ventisette lavoratori, le loro storie personali, le lacrime delle loro famiglie: tutto questo grida ancora vendetta. E' passata la rabbia, ma l'amarezza no. Quella non si dimentica. Quei ragazzi e padri di famiglia con la maglietta bianca e spiga di grano stampata che hanno lottato per mesi tra Comune, Provincia e Ufficio del Lavoro, hanno ormai, inevitabilmente, imboccato altre strade. Ma i loro volti sono i nostri: racconti di un passato che tutti rimpiangiamo, anche chi non lo ha vissuto, di un presente che proviamo a scrivere e di un domani senza certezze. Una tradizione unica adesso raccolta anche nei nostri panifici da stabilimenti calabresi e del resto della Sicilia. Un'altra eccellenza persa senza la garanzia che venisse onorata garantedole un futuro. Un grazie, evidentemente ironico, va a chi non fa nulla affinché Messina smetta perdere i propri patrimoni. Vecchi e nuovi volti di una classe dirigente morta prima ancora di nascere, capace di gettare il pane in terra mentre i propri concittadini muiono di fame. Tanto saziano di più mattoni e cemento. (Emanuele Rigano)