Pane e “polvere”. Il lavoro e la fatica. Il passato e il futuro. Tutto “fa” un popolo e la sua storia. Prima di spiegare quanto “raccontato” dalla fotografia, occorre una premessa: lo scatto in primo piano, così come quelli presenti su photogallery, sono frutto di una preziosa segnalazione giunta alla nostra redazione. Quest’ultima, prima di essere pubblicata, è stata verificata per evitare, così come qualcuno ci ha preventivamente “rimproverato”, di combinare le «solite cose alla messinese». Ovvero sollevare un polverone per nulla. Polverone, l’intenzione non è di certo questa. Eppure la polvere, con quello che vi andremo a raccontare, qualcosa c’entra.
Abbattimenti, ruspe, detriti e scavi. L’area in questione è quella dove un tempo sorgevano i gloriosi edifici ex-Molini Gazzi e prossimamente sorgerà il complesso edilizio i “Granai”. Palazzine a sette piani, comprese di locali interrati. Le fotografie immortalano una porzione di cantiere nella quale, a seguito delle demolizioni operate dalle grandi braccia meccaniche, sono stati portati alla luce alcuni ritrovamenti. Ad occhi nudo sembra evidente che si tratti di resti “storici”. Ma non siamo tecnici.
Per questo decidiamo di rivolgerci all’ente preposto a tali verifiche, la Sovrintendenza regionale ai Beni culturali di Messina. Il sovrintendente Salvatore Scuto, non molto propenso a raccogliere la “nostra” segnalazione, ci indirizza all’ufficio della responsabile dell’Unità Operativa Beni Archeologici, la dottoressa Gabriella Tigano, con la quale ci soffermiamo a parlare. «Sono scavi su cui lavoriamo da due settimane per capirne la datazione – esordisce -. Momentaneamente gli interventi dell’impresa costruttrice si sono spostati in un’altra zona di cantiere. Sicuramente non si tratta di resti antichi, ma anzi di elementi recenti, collocabili tra otto e novecento. E’ probabile – continua l’esperta – che siano impianti artigianali: secondo quanto emerso dalle verifiche, ancora in corso, ai margini del torrente Gazzi un tempo sorgevano strutture di questo tipo, di cui, tuttavia, si sa ben poco. Non appena abbiamo avuto notizia dei ritrovamenti è stato subito nostro interesse approfondire. Abbiamo chiesto anche la collaborazione di una collega del servizio etno-antropologico. Ma ribadisco – continua la Tigano -, se la nostra ipotesi fosse confermata, ci troveremmo in presenza di impianti di lavorazione “recenti”, ma comunque utili a ricostruire parte della memoria storica della città».
Sempre secondo quanto spiegato dalla Tigano, lo stato di conservazione delle strutture non è certo delle migliori: «Esse sono in parte già state danneggiate dalla realizzazione dei precedenti edifici, (ovvero gli ex-Molini) e anche per questo, almeno per il momento, non riteniamo necessario chiedere una sospensione dei lavori o una variante al progetto. In un’area di cantiere così vasta, peraltro, non è escluso che si possano effettuare altri ritrovamenti. Anche perché – aggiunge ancora la responsabile – il progetto include la realizzazione di cantinati e si dovrà scavare molto più in profondità. Non è da escludere che venga alla luce qualcosa di più importante. Almeno questo è quello che noi addetti lavori ci auguriamo». Un auspicio più che legittimo per gli appassionati, che magari non sarà condiviso dal direttore dei lavori e dai responsabili dei cantieri (con i tempi che andrebbero ad allungarsi). Questi ultimi comunque, sottolinea la Tigano, «stanno mostrando grande disponibilità e ci stanno consentendo di lavorare nella massima tranquillità».
Insomma le “sorprese”, più o meno datate, non è detto siano terminate. L’intera area sarà certamente sottoposta al ferreo controllo degli esperti, che non hanno nessun intenzione di lasciarsi sfuggire alcun “pezzo” di storia. Così come coloro che amano la propria città e odiano i polveroni. Forse era scritto nel destino: ieri gli stabilimenti, oggi i ritrovamenti e domani “I Granai”.
ELENA DE PASQUALE