“Sull’hotspot a Messina le responsabilità sono tutte dell’amministrazione Accorinti. Lo sono per una serie di motivi comprovati e reiterati nel tempo”.
Non usa mezzi termini il leader dei Centristi Gianpiero D’Alia in merito alla querelle sulla realizzazione della struttura in riva allo Stretto, e spiega perché.
“Il governo nazionale finora non ha mai localizzato le strutture d’accoglienza senza prima essersi confrontato con le amministrazioni locali. E’ quindi impossibile che Accorinti non abbia dato un assenso di massima, a meno che il sindaco non voglia dire di non aver compreso bene la questione. Io sono contrario alla realizzazione dell’hotspot, a maggior ragione in un’area che dovrebbe essere riqualificata e dove invece si creeranno problemi d’integrazione con gli abitanti di Bisconte e Camaro. Ci sono rischi seri legati alla tenuta sociale in un'area di estrema fragilità e le responsabilità sono tutte in capo all’amministrazione ed anche a chi, 4 anni fa, ha acconsentito alla realizzazione di una tendopoli in una struttura sportiva, creando un precedente ed un’autostrada che appunto ha portato ad una decisione da parte del governo che solo adesso viene contestata”.
Ma D’Alia più che alla mancata incisività dell’amministrazione in queste ultime settimane (le uniche mosse sono stati due comunicati stampa) fa riferimento a quanto non è stato fatto negli anni scorsi, proprio quando invece c’era la possibilità di agire ed evitare che il governo scegliesse Messina per collocare l’hotspot.
“Quando ero ministro ho segnalato personalmente ai ministri Alfano e Mauro, quindi Interni e Difesa, la presenza della caserma dismessa di Bisconte e lo feci per togliere lo scempio della tendopoli che a Natale si era allagata, causando gravissimi disagi. Ricordo anche che la stampa nazionale parlò proprio delle condizioni della tendopoli. Il Comune però non ne chiese l’assegnazione e la caserma passò dal Ministero della difesa al ministero degli Interni.Il Comune ha perso un'occasione allora, quando c'era la possibilità di chiederne l'assegnazione. Adesso il Ministero ha acquisito l'area e ha l'obbligo per legge di utilizzarla con quella destinazione. In quel periodo invece ho promosso diversi incontri che si tennero a Roma, al mio ministero e proposi all’amministrazione di realizzare in quella caserma il secondo Palagiustizia. Era la soluzione ideale, c’erano le risorse, c’era una struttura idonea. Anche l’ex ingegnere capo del Genio civile Sciacca spiegò che c’era la possibilità di reperire risorse per la sistemazione del torrente. C’erano anche fondi per la viabilità. Insomma, c’erano le condizioni per realizzare nella caserma Bisconte il Palagiustizia in 3-4 anni. La giunta invece ha deciso di avventurarsi in una direzione improbabile, quella di localizzare il Palagiustizia nell’area dell’ex ospedale militare. Una soluzione che comporterà tempi biblici ed una procedura lunghissima della quale al momento si ha notizia solo di un incontro”.
L’ex ministro ricorda come nell’area dell’ospedale militare vi sono ancora strutture operative e come l’intera area non sia stata demilitarizzata, fatto questo che comporterà tempi lunghi. Anche a conclusione dell’iter inoltre una parte resterà con destinazione ad usi militari.
“Il risultato è un disastro: l’amministrazione 4 anni fa avrebbe potuto chiedere al Ministero l’uso della caserma dismessa di Bisconte per realizzare il Palagiustizia. Non l’ha fatto con la conseguenza che per il Palagiustizia non si sa quando si vedrà la parola fine mentre nel frattempo la caserma dismessa è passata al Ministero degli Interni che ha, per legge, l’obbligo di usare queste strutture come Cie e centri di accoglienza. La responsabilità è di Accorinti che non ha fatto una scelta quando avrebbe potuto. Non vorrei che si sia trattato di uno scambio politico legato al Patto per Messina. Il Comune fa realizzare l’hotspot e in cambio il governo velocizza le opere del Masterplan. In questo caso sarebbe un duplice errore, perché l’hotspot causerà tensioni sociali e le opere del Masterplan non sono una cortesia, un regalo, ma un atto dovuto”.
I tempi per protestare sono strettissimi perché giugno è vicino e l’amministrazione è all’angolo, proprio a causa dei silenzi che ha preferito quando invece avrebbe dovuto gridare. Da un’occasione perduta ad un’altra D’Alia si sofferma anche sulla querelle Autorità portuale.
Nelle scorse settimane la questione è stata rimessa nel cassetto. Il matrimonio con Gioia Tauro, mai digerito in riva allo Stretto, è stato in un certo senso congelato per il periodo della proroga tecnica, necessaria ai passaggi procedurali. Da allora però tutto il meccanismo si è fermato e Messina è rimasta come “color che son sospesi”.
D’Alia nella conferenza stampa sulla sfiducia aveva proposto un tavolo istituzionale sui temi della governante. Tesi ribadita anche adesso, a maggior ragione se non si vede all’orizzonte alcuna novità. Oggi il ministro Delrio sarà a Messina e tutti si aspettano risposte che difficilmente darà.
“L’iter si è fermato ed il governo ha messo la questione su un piano incrinato che potrebbe far saltare tutto. Serve una proroga più lunga rispetto a quella che scade a giugno. E’ urgente che i presidenti delle Regioni Sicilia e Calabria, i sindaci di Messina, Reggio e dei Comuni coinvolti si adoperino per attivare un tavolo istituzionale che affronti il tema della governance su un piano paritario. Doveva diventare la più grande AP del Mediterraneo invece è tutto fermo. Delrio deve dire chiaramente cosa intende fare altrimenti si assumerà la responsabilità di essere tra quanti, compresi molti messinesi, avranno fatto fallire la riforma”.
Rosaria Brancato