Il film si snoda attraverso un’originale articolazione, con un singolare percorso, per cui attraverso un flash-back, quasi sul finale, si ritorna indietro a tracciare la rotta precedente, che si poteva immaginare soltanto
La recensione odierna concerne l’ultima fatica cinematografica di Ferzan Ozpetek – regista turco, già autore di celebrati lungometraggi – “Allacciate le cinture”, interpretato dall’attrice polacca Kasia Smutniak, una splendida Elena e da Francesco Arca, già tronista un decennio fa, che supera con onore la prova, anche perché il personaggio di Antonio sembra veramente corrispondergli. I due impersonano soggetti apparentemente sbagliati l’uno per l’altro: Antonio sembrerebbe un superficiale e rozzo meccanico, peraltro razzista, che intrattiene un rapporto con la migliore amica della protagonista, una incolore Carolina Crescentini… Elena, invece, una più raffinata e razionale barista, già impegnata con il più affine fidanzato, reso senza troppo impegno da Francesco Scianna. Antonio ed Elena, peraltro, non si stimano e sembrerebbe dunque normale lasciar perdere, ma la passione travolge tutto e spariglia le carte… Con un salto di 13 anni ritroviamo i due protagonisti ancora insieme, ma distanti anni luce, ciascuno chiuso nel proprio universo, lontani nonostante i due figli, finché la malattia di Elena non li fa ritrovare con semplicità, uguali, ma divenuti altri … ed anche fisicamente quasi irriconoscibili… lui ha messo su pancia, lei è smagrita oltremodo e alla sua versione passionale se ne è sostituita una di donna con i piedi per terra.
Il film si snoda attraverso un’originale articolazione, con un singolare percorso, per cui attraverso un flash-back, quasi sul finale, si ritorna indietro a tracciare la rotta precedente, che si poteva immaginare soltanto. Attraverso le recitazioni delle figure comprimarie, uno stravagante personaggio impersonato in maniera eccellente da Elena Sofia Ricci e di Carla Signoris in un brillante ruolo – le due si rivelano legate da affettuosa relazione – di Giulia Michelini, giovane oncologa di tutto rispetto – in una piccola-grande parte – di Filippo Scicchitano, barista gay di grande spessore umano e legato ad Elena anche per via di un passato (che si disvela poco a poco) ed infine di una svampita e super corazzata Luisa Ranieri, il lungometraggio risulta di grande spessore. L’amore, come sembra, è l’indefinibile per eccellenza ed lfine rende consapevoli di cosa conta davvero. Ti può travolgere come un treno, annullare la razionalità o divenire pacato ed adulto e trasformarsi, perché è cambiata l’esistenza e si è diversi.
La molla del cambiamento è un evento dirompente, rappresentato da un cancro al seno che colpisce Elena, evento sapientemente reso attraverso lucide descrizioni delle fasi della malattia, delle locations ospedaliere, dei trattamenti, dell’impietosa rappresentazione della protagonista calva e pallidissima, che ora combatte, ora sembra lasciarsi andare – pur avendo vicini i suoi affetti, che divengono la sua forza… – e che alla fine riesce ad uscire dal tunnel (almeno così speriamo). Le mutilazioni dalla stessa subite, nel corpo e nell’anima, sembrano effettivamente colpire anche noi che siamo con lei mentre gioca “a fare la persona sana”, indossando improbabili parrucche… La compagna di stanza, un’originale Paola Minaccioli, che purtroppo sarà soggetta ad infausta fine, è unita saldamente ad Elena dal corpo a corpo con la malattia, dall’alternarsi tempestoso di energie e senso di perdita, anche se rappresenta esteriormente una persona di grande forza ed esuberanza… le due malate sono bellissime, pur pallide e smunte, e si intuisce che entrando nella bolla della malattia vivono momenti di grande smarrimento, mutando anche la percezione del loro sé… in Elena le emozioni lasciano il segno, quelle terribili prove la rendono certa di avere tanto per cui combattere ed il rozzo Antonio si rivela un attento marito, che riesce a far percepire alla malata il proprio desiderio ed a farle ritrovare il suo corpo.
Il destino è forse il vero protagonista della pellicola, quel destino che con i suoi intrecci misteriosi può spingere ex abrupto “ad allacciare le cinture”per affrontare le turbolenze dell’esistenza. In definitiva una grande prova registica ed attoriale, con una discreta fotografia di Gianfilippo Corticelli, tiepide musiche di Pasquale Catalano ed una sapiente scrittura di Gianni Romoli e dello stesso Ferzan Ozpetek.