Perché diamo allo sport tanto valore? È facile capire che costituisca un piacevole e a tratti irresistibile diversivo dalla nostra routine quotidiana. Ma perché lasciamo che ci ferisca? Che ci devasti? Che prenda il posto di tante cose molto più importanti?
Jim Shepard si pone queste domande nell’introduzione alla raccolta di suoi racconti intitolata Non c’è ritorno. L’autore racconta di essersi innamorato – o ammalato – dello sport da giovanissimo. Bambino nel Connecticut, Shepard prova un colpo di fulmine per la squadra di football dei Minnesota Vikings, apparentemente senza motivo, dato che i Vikings giocano in casa a ben duemilacinquecento chilometri da dove vive Jim.
Eppure, il Super Bowl del 1970 tra appunto i Vikings e i Kansas City Chiefs rimane un ricordo indelebile e straziante per l’autore (qualunque vero tifoso comprenderà a pieno la scena delle scale) anche dopo trenta e più anni di distanza.
I dieci racconti che compongono Non c’è ritorno si concentrano più sullo sport praticato che su quello osservato, ma fanno capire perfettamente perché gli spettatori non smettano di seguire con trepidazione le gesta dei propri idoli.
Il football, grande amore dell’autore, è al centro di Ida, Messia, e Calpesta i morti, scavalca i deboli. Il primo è un sogno del protagonista che si ritrova in mezzo a una partita, con il padre come allenatore e la madre come compagno di squadra. Il secondo e il terzo si concentrano invece su dinamiche che potrebbero sembrare esterne allo sport ma in realtà lo permeano integralmente: i privilegi di chi è destinato a diventare un campione e le emozioni di chi porta in campo la frustrazione per le cose che gli mancano nella vita di tutti i giorni.
La raccolta non guarda solo a competizioni che si svolgono dentro uno stadio; grande spazio, infatti, trovano le sfide dell’uomo contro la natura o il destino. Che si tratti di affrontare la scalata del Narga Parbat, una valanga letale, uno dei terremoti più spaventosi del ventesimo secolo, o ancora il disastro nucleare di Chernobyl, i diversi protagonisti devono guardare sia all’esterno che all’interno per comprendere il senso delle avventure che stanno vivendo.
Presente anche il calcio, sport storicamente poco apprezzato dagli statunitensi. Shepard si mette nei panni di Velibor Vasović, difensore che nel 1966 si trasferisce dal Partizan Belgrado all’Ajax di Amsterdam. Il confronto tra un paese soffocato dalla dittatura e un altro in piena rivoluzione culturale si accompagna alla scoperta della filosofia di gioco di una delle squadre più iconiche di tutti i tempi.
Il racconto che conclude la raccolta, Alla battuta contro Castro, dimostra la duttilità stilistica e strutturale dell’autore. Stavolta lo sport è il baseball, e i protagonisti sono due giocatori statunitensi che, scacciati dal proprio campionato, cercano di rilanciarsi in quello cubano. Incapaci di comprendere la lingua, non afferreranno granché di tutto quello che succede nel paese durante la loro permanenza, finché, all’apice della trama più surreale proposta da Non c’è ritorno, non si ritroveranno, come lanciatore avversario, proprio il Lìder Màximo.