Sciopero agli imbarcaderi, parte terza. Questo martedì va in scena la terza puntata di una storia che sembra non avere sbocchi. Dopo le tante rivendicazioni di lavoratori e sindacati, in seguito alle decisioni della società di traghettamento, ora è proprio la Caronte e Tourist a far sentire le proprie ragioni.
“La crisi globale – scrive il responsabile dell’ufficio personale e affari generali, l’ex sindacalista CGIL Tiziano Minuti – si e inevitabilmente proiettata su servizi e terziario, aggravando un quadro che nel nostro caso era già complesso e complicato. Da armi, ormai, il mercato del traghettamento sullo Stretto di Messina presenta un calo costante e irreversibile”.
Minuti fornisce i numeri del traghettamento: “Nel 2002 transitavano da e per la Sicilia 2 milioni e 200mila autovetture e 720mila mezzi commerciali; nel 2011 le autovetture sono diventate 1 milione e 800mila e i mezzi commerciali 500mila. Il prezzo del carburante è cresciuto in maniera esponenziale. Dal 2006, poi, è attivo l’approdo di Tremestieri con la conseguente differenziazione del traffico. Se prima le navi potevano viaggiare con un carico promiscuo e dunque saturare il più possibile la capacità di stiva, da quella data ciascuna nave per ogni singola tratta ha trasportato solo auto o solo camion. E’ evidente che – a parità di traffico – per mantenere adeguata l’offerta si e dovuto aumentare il numero di navi in linea e conseguentemente quello degli equipaggi. Dalla fine del 2009, infine, i benefici contributivi previsti per la aziende del settore del traghettamento sono stati abrogati, con il risultato che il costo del lavoro è aumentato di oltre il 25 % senza che ai marittimi ne sia rivenuto neppure un euro in più in busta paga”.
“Stiamo operando ormai da anni – prosegue il rappresentante della società – per una riduzione dei costi, di tutti i costi, almeno di quelli endogeni, sui quali cioè abbiamo margini di manovra. Oggi il costo del lavoro di Caronte & Tourist, anche in ragione di una contrattazione integrativa sedimentata per decenni e tale da far sì che i salari siano sostanzialmente doppi rispetto a quelli previsti dal contratto nazionale, non è più compatibile con la struttura dei ricavi. Per il 2012 questi ultimi saranno inferiori a quelli dell’anno precedente di oltre 8 milioni di euro. E’ evidente che la leva tariffaria non può più essere utilizzata in termini di compensazione. Per una ripresa economica, bisogna invece intervenire urgentemente sul costo del lavoro, come sta facendo la massima parte delle imprese italiane”.
Minuti ribadisce allora le soluzioni: “Per questo abbiamo comunicato alle Organizzazioni Sindacali la necessità di tagliare il costo complessivo del lavoro di almeno il 25 %, proponendo tuttavia l’a|ternativa tra un taglio globale del monte salari (che, comunque, rimarrebbero sempre ben superiori a quelli del contratto nazionale) e una tastiera ampia e variegata di soluzioni di ricollocazione del personale marittimo che risulterebbe in esubero, sia all’interno che all’esterno della società, e dichiarandoci aperti anche a soluzioni alternative che conseguano lo stesso risultato economico. E’ un percorso arduo e accidentato, ma obbligato. Il nostro intento è di effettuarlo tentando l’intesa con chi ha il compito di rappresentare gli interessi del lavoro dipendente. Abbiamo avuto modo – anche nel recente passato – di verificare la concretezza e il senso di responsabilità delle Organizzazioni Sindacali con le quali interloquiamo. Confìdiamo che anche stavolta il confronto sia foriero di risultati proficui”.