La legge Bossi-Fini deve essere modificata per una serie di motivi, al di là del fatto che, le tragedie del mare sono la dimostrazione che sul piano degli obiettivi da raggiungere ha fallito. Quello che mi sconcerta di più è la parte relativa al reato di favoreggiamento per chi soccorre un profugo in mare. La trovo una norma contro natura. Il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini ha raccontato della paura dei pescherecci di non incorrere nello stesso destino di quei capitani tunisini che si fecero 40 giorni di carcere, 4 anni di processo e si videro sequestrate le barche per avere salvato 44 naufraghi.. Non era il medioevo, era l’agosto del 2007, appena sei anni fa. E’ questo timore sia dell’incorrere nel reato di favoreggiamento che nel sequestro dell’unico bene dal quale dipende la loro vita, la barca, che i pescherecci evitano di prestare soccorso. Lo scorso agosto in Fiera, nell’ambito dell’Estate messinese è stato proiettato il bellissimo film di Emanuele Crialese, ‘Terraferma’. E’ la storia di chi conosce una sola legge, quella del mare, che è la stessa da sempre e che vede nel mare l’origine della vita e della morte e proprio per questo ci rende tutti fratelli. E’ la vita di gente semplice che di fronte alla tragedia accoglie il dolore nella propria casa, sfidando la legge dello Stato. E’ il racconto di due donne diverse, una clandestina ed un’italiana per le quali raggiungere la terraferma è un sogno che le rende uguali. Nell’ultima scena c’è una barca sotto sequestro che solca le acque verso la libertà e la libertà è rappresentata proprio dalla terraferma.
Se un uomo sta morendo nessun pescatore, che ogni giorno andando per mare sfida la sorte dirà mai: “Sono clandestini, adesso, mentre affogano, avviso la Guardia Costiera e aspetto il loro arrivo. Oppure scappo, torno a riva e allerto i soccorsi”. Non è nella natura umana. Questa tra l’altro non è una norma assoluta, nel senso che non impone ai naviganti di lasciare in mare chiunque, ma solo ed esclusivamente gli immigrati. Se sta annegando un miliardario il cui panfilo è andato a picco, una nave da crociera carica di turisti, un motoscafo di contrabbandieri, il pescatore li può salvare. Se vede morire esseri umani di colore nero scampati all’inferno e diretti a un nuovo inferno, allora scatta il favoreggiamento dell’immigrazione.
Legge Bossi-Fini, art.12 comma 1 “chi compie atti diretti a procurare l'ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero persona non cittadina o senza titolo di residenza permanente è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa fino a 15.000 euro per ogni persona".
Il secondo comma nello specificare che "non costituiscono reato le attività di soccorso prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato" non basta a frenare la paura, perché si fa riferimento al territorio italiano e perché il processo ai marinai è un fatto realmente accaduto e non frutto di fantasia.
A prescindere dall’impossibilità in quei frangenti di verificare il possesso di carta d’identità o del permesso di soggiorno, o di calcolare se si è in acque italiane o meno, è pura follia pretendere che un uomo di fronte a un naufrago gli chieda se viene da noi per divertimento o per portare capitali che nel suo Paese sono frutto di attività illecite (in quest’ultimo caso le porte le troverebbe aperte, eccome…). Per fortuna i pescatori non sono politici, non sono grandi statisti, hanno una sola legge, quella del cuore. Quando Ulisse arrivò da naufrago sull’isola, mica gli spararono addosso, nacque l’Odissea, ne venne fuori una storia immortale che narra di ospitalità e non di intolleranza. E da immigrato lontano da casa sua ha vissuto 20 anni mica 2 giorni. Che la Bossi-Fini ha fallito lo dicono i numeri: i morti in mare in dieci anni sono oltre 6 mila e dal 2001 sono sbarcati 265. 722 migranti. Non abbiamo fermato gli scafisti con la paura. Se qualcuno è pronto a tutto pur di andare via é perché muore di fame, perché la sua amatissima terra non è più patria e non è più madre. Il dovere di accoglienza lo abbiamo non solo nei confronti di quelle persone che scappano perché rischiano la tortura, il carcere, la morte, ma anche per quelle che se restano moriranno di fame e di sete. Anche la povertà è una dittatura, è una mancanza di democrazia. Non abbiamo fermato gli scafisti, perché la voglia di vivere è più forte di ogni altro istinto. E questa gente vuole vivere. Se non comprendiamo questo non saremo in grado di fare nessuna norma giusta. Vuole vivere e noi chiediamo ai pescatori di lasciarli morire in acqua in attesa che qualcuno controlli se sono terroristi o narcotrafficanti travestiti da disperati. Mi ha sconvolto leggere che tra i cadaveri di Lampedusa hanno trovato una madre ed un neonato ancora uniti dal cordone ombelicale. Quella donna chiedeva vita per sé e il suo bambino, che ha partorito in una barca troppo simile a quelle che portavano gli schiavi africani a morire in America. La Bossi Fini deve essere modificata perché ignora che in quelle barche ci sono vite umane. La norma sui respingimenti, è scellerata e ci rende complici. L’accordo siglato nel 2009 con Gheddafi ci ha autorizzato ai controlli in alto mare e quindi a rispedire indietro verso le coste della Libia persone che di lì a poco sarebbero morti abbandonati nel deserto. Il termine respingimento è così vicino alle parole odio e ostilità da fare paura per la sua freddezza. Le condizioni dei centri di identificazione, infine, sono tali che lasciano senza parole. Chi sale su quei barconi ha poche speranze, puoi venire in Italia SOLO se hai un contratto (e già questa norma fa ridere), se non ce l’hai sei rispedito indietro. Chi non ha permesso di soggiorno deve comunque essere identificato, va a finire nei centri d’identificazione (norme queste derivate dalla precedente legge Turco-Napolitano). L’ultima nota è per le dichiarazioni di Alfano poche ore dopo la tragedia di Lampedusa, quando ha proposto per l’isola il Nobel per la pace. Nobile proposta, ma ha sbagliato i tempi. Quando Letta e Barroso sono andati nell’isola sono stati fischiati da pescatori, cittadini, associazioni umanitarie che esponevano i cartelli con le foto delle condizioni dei Centri di identificazione. Lampedusa, i siciliani sulle cui coste arrivano migliaia di profughi non hanno bisogno oggi di una targhetta premio. Hanno bisogno di cose concrete, di finanziamenti che si tramutino in fatti, aiuti reali, di attenzioni e riflettori accesi ogni giorno. Parlare di Nobel per la pace oggi è come dare una pacca sulla spalla a qualcuno che in ginocchio, sanguinante, solo, ha attraversato l’inferno. Si è appena alzato in piedi barcollante e tu gli dai una pacca sulla spalla e gli dici: “bravo, ce l’hai fatta” e poi ti giri dall’altra parte, anche per paura che lui ti tocchi con le mani sporche di fango e sangue.
Rosaria Brancato