Dopo la Casta, i Rapaci. Il soggetto è, più o meno, sempre lo stesso, ovvero la classe dirigente italiana. Ma soprattutto è la vittima ad essere sempre la stessa: il cittadino, il lavoratore, l’elettore. Dopo il libro-choc scritto con Gian Antonio Stella, Sergio Rizzo torna nelle librerie con “Rapaci”, un volume sul «nuovo statalismo» e sulla «presenza, incombente e oppressiva, della politica nelle imprese pubbliche». Approfittando della sua presenza a Messina, abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Rizzo sui mali dell’Italia e, in parte, anche della nostra città.
Partiamo proprio da “Rapaci”. Quale messaggio parte da questo libro?.
«E’ un libro di cronaca, non sono un filosofo. I giornalisti raccontano ciò che vedono, poi c’è chi lo fa meglio e chi peggio. Il messaggio lo ricava poi il lettore. Il libro fotografa un Paese nel quale lo Stato non rispetta il ruolo che gli compete, cioè quello di regolatore, ma è come l’arbitro che entra in gioco, si inserisce tra i settori economici, non tanto perché abbia imprese, industrie o altro, ma per una presenza pervasiva e ingombrante sia a livello centrale che locale, con le società municipalizzate, ad esempio».
Chi dovrebbe tutelare il cittadino o il lavoratore? Penso al ruolo del sindacato, ad esempio.
«Il sindacato tutela solo una fetta della popolazione, ma in certe situazioni è connivente, come nel caso Alitalia o per gli istituti di previdenza».
Anche a Messina abbiamo una piccola Alitalia che si chiama Atm. Questa, come tutte le aziende partecipate, si distingue per inefficienza. Perché i servizi pubblici non funzionano?
«I servizi pubblici locali sono inefficienti perché al servizio della politica. Si può recidere questo legame in diversi modi, imponendo ad esempio la privatizzazione o regole ferree di incompatibilità nei Cda. Il punto è: chi dovrebbe recidere questo legame?».
Una domanda ironica. Nel libro “La Casta” da lei scritto a quattro mani con Gian Antonio Stella, il sindaco di Messina Buzzanca appare nel capitolo dedicato alle autoblu. Il fatto che uno dei suoi primi atti una volta tornato sindaco sia stato acquistare una nuova autoblu cosa significa, alla luce del fatto che oggi non si hanno i soldi per divulgare il piano di prevenzione sismica?
«Il punto è sempre lo stesso, il denaro pubblico è di tutti e dunque di nessuno. Il Comune di Catania, ad esempio, è praticamente al dissesto ma concede crediti al Catania calcio per 650mila euro, eppure non hanno i soldi per le bollette. La Regione Calabria non riesce a pagare lo smaltimento dei rifiuti e poi scopri che sponsorizza la Nazionale di calcio. Ma questo succede anche al nord, solo che quando hai più soldi lo spreco è meno evidente. Il guaio dell’Italia è che non si guarda mai all’interesse generale, perché se ciò accadesse prima di sponsorizzare la squadra di calcio si darebbe una bella sfoltita al prato».
Come ci si può “redimere” da questo tipo di politica?
«Non ho ricette. Dico solo che la legge ci dà come strumento il voto, la procedura più democratica. Ci sono varie forme di pressione dal basso, il problema è il livello infimo della classe dirigente. Cerchiamo di utilizzare l’arma del voto, poi delle cose si possono fare, ma ripeto, chi ha interesse a farle?».
La stampa, ad esempio, che funzione ha in tutto questo?
«La stampa italiana non è molto diversa dal resto del mondo, ha solo qualche difettuccio in più, che non riguarda tanto la struttura azionaria ma la storia del nostro mestiere. Una storia fatta di giornalisti legati al potere, cosa molto diversa avviene nei paesi anglosassoni. L’atteggiamento da cane da guardia da noi compare raramente, non c’è quasi mai la diffidenza nei confronti del potere che invece è un sano principio dei paesi democratici. Da noi la stampa libera viene tacciata di lesa maestà».
Come giudica la leggina dell’Ars con la quale i deputati regionali tutelano i doppi incarichi (e contro la quale è in corso un raccolta firme per il referendum abrogativo, nda)?
«E’ una vergogna, ma non mi scandalizza affatto una legge del genere, perché a livello nazionale si fa ugualmente, pur con leggi che proibiscono il doppio incarico, e nessuno ci fa caso. Sono settanta i casi in Parlamento, il sindaco di Catania è senatore, ma anche quelli di Viterbo, di Molfetta, ci sono due presidenti della Provincia, e nessuno apre bocca».
Il fatto che quella legge sia passata con una maggioranza bipartisan cosa significa, che di fronte al sovra partito del potere non esistono distinzioni politiche?
«E’ sempre brutto fare discorsi del tipo “sono tutti uguali”, ma è vero che c’è un meccanismo di epurazione che non risparmia nessuno. Una volta coi partiti di massa era più complicato spiegare perché si era votato in una determinata maniera, adesso all’intero dei partiti non c’è verifica e controllo sugli aspetti etici dell’azione politica. Chi va a dire a Stancanelli “non lo puoi fare”. Se questo fosse accaduto nel ’74, ad esempio, l’Almirante di allora lo avrebbe fatto. Oggi a chi toccherebbe questo compito? A Fini? A Berlusconi?».
Berlusconi ha rilanciato il tema, non certo nuovo, della riduzione dei parlamentari (che oggi sono 945, più i senatori a vita).
«L’Italia sta in Europa, dunque andiamo a vedere come funziona negli altri Paesi: l’Italia è il Paese con più parlamentari, soprattutto se parametrati con il numero degli abitanti. Siamo troppi, ma l’inefficienza non dipende da questo, piuttosto dal fatto che c’è un bicameralismo che non ha ragione di essere e regolamenti parlamentari obsoleti. Quello del numero è un falso problema, esiste ma non è quello principale. D’altronde sono più di 30 anni che parliamo di queste cose, e nulla si è mai mosso».