La data dell’insediamento dell’Ars è l’11 dicembre, ma nel frattempo la Sicilia ha battuto tutti i record. Ci sono 4 neo deputati indagati, due inchieste in corso a Catania e Palermo per compravendita di voti, c’è stato un arresto a 48 ore dall’elezione, un maxi sequestro milionario e diversi candidati non eletti incappati nelle maglie della giustizia (da destra a sinistra fino ai 5stelle).
Il Paese ci guarda caro Presidente Musumeci, lei adesso rappresenta tutti i siciliani, anche quelli che non sono andati a votare o quelli che non l’hanno votata. Le sue decisioni relative sia alla squadra di assessori che a quanti saranno nei posti chiave ci diranno se la Sicilia è destinata a cambiare o meno. Se si farà tirare dalla giacca adesso l’isola non si rialzerà più. E questo al netto delle presunzioni d’innocenza, del giustizialismo esasperato o della tempistica dei tribunali. Il cuore del problema non è giuridico. Il termine impresentabile infatti attiene alla categoria dell’etica e non a quella giuridica. Essere candidabili non basta se non si è anche presentabili.
Purtroppo in Sicilia soffriamo della sindrome di Stoccolma e ci innamoriamo dei nostri carnefici, non riusciamo a farne a meno. A volte ci mancano talmente tanto che li facciamo ritornare.
Proprio dallo Stretto sono venute le grane più grosse per Musumeci: l’arresto di Cateno De Luca e il maxi sequestro ai Genovese con il rampollo di famiglia indagato.
Non sono giustizialista ma neanche complottista. Certo, nel caso di Cateno De Luca c’è qualcosa che non va. La richiesta di arresto risale a gennaio ma viene firmata ben 11 mesi dopo, a sole 48 ore dall’elezione di De Luca all’Ars. Non c’è probabilità di fuga, né di inquinamento di prove. Il riesame annulla tutto. Non sono una fan di De Luca ma se hai 15 provvedimenti sulle spalle e tutti con assoluzioni o non luogo a procedere, vieni arrestato il mercoledì, assolto per un altro processo il venerdì e scarcerato il lunedì successivo qualche dubbio sulla tempistica ti viene. C’è qualcosa che non va nel rapporto tra magistratura e politica. Non può essere una gara tra star né una guerra. Se è vero che l’orologio di alcuni magistrati è collegato al mondo della politica è altrettanto vero che la politica non può continuare a sfidare la magistratura a colpi d’impunità e di arroganza. Ci deve essere un limite etico.
Il caso Genovese è, sotto diversi aspetti, un fenomeno che finirà con l’essere studiato.
E’ l’esempio più lampante di sindrome di Stoccolma e nel contempo di un delirio di onnipotenza. C’è una dinastia che gestisce il potere politico ed imprenditoriale con concezioni anche feudali e che non esita a sacrificare tutto in nome del mantenimento di quel potere. I conti correnti in Svizzera risalgono a Luigi senior, nonno del neo deputato Luigi junior. Ci sono tre generazioni coinvolte ed unite.
Riporto alcune considerazioni del giudice Salvatore Mastroeni, uno dei più equilibrati magistrati del nostro Tribunale, attento a tutte le dinamiche ed al contesto cittadino. Descrive in modo quasi sociologico il contesto e traccia la figura di Genovese junior come l’erede non solo economico ma di un modus vivendi ed operandi con il quale è in sintonia e che condivide consapevolmente.
“La faccia della criminalità che vive nei piani alti e nei salotti buoni delle città, con abiti eleganti e quei grandi mezzi dalla capacità attrattiva immensa, non certo emarginata come i ladri di strada (…)- scrive Mastroeni nel provvedimento- Rubare allo Stato circa 20 milioni di euro è, con ogni distinguo che si voglia fare, molto più grave del prendere di notte, sulla pubblica via, un'autoradio o un motorino, pur condotte che in flagranza portano quasi automaticamente al carcere. Se l'impero economico dei Genovese si caratterizza oramai per illiceità e reati, Luigi Genovese è l'erede designato a raccogliere l'eredità di tutto ciò e non un mero beneficiario, ma agendo con gli stessi comportamenti dello stesso livello del padre e con alta proiezione di rischio di reiterazione (…) Così, dal nulla, si staglia la figura di Genovese Luigi junior, che diventa consapevolmente, firmando atti e partecipando alle manovre del padre, ricchissimo (…)”.
Non mi iscrivo al club della gogna contro un ventunenne ma non posso ritenerlo inconsapevole delle conseguenze delle sue decisioni. Qua siamo di fronte ad una famiglia che consapevolmente “sacrifica” il proprio figlio, gettandolo nelle fauci di un’arena assetata di sangue, pur di salvare l’impero. I fatti contestati sono stati commessi dopo l’uscita dal carcere di Genovese, mentre erano in corso i due processi. Le azioni volte a nascondere al fisco e allo Stato una somma ingentissima di denaro sono state nel 2015 e 2016. C’è una strategia volta a proteggere il patrimonio non dall’orda degli unni ma dal fisco italiano. Dal nostro governo. E qui entra in gioco un altro aspetto, evidenziato sempre dal giudice Mastroeni quando parla di “modo spregiudicato di acquisizione della ricchezza”. In Italia ci sono state persone che si sono tolte la vita a causa di Equitalia. Ogni giorno migliaia di lavoratori dipendenti hanno a che fare con un sistema fiscale che mette in ginocchio le famiglie. Nel contempo, mentre la gente comune paga, ci sono migliaia di ricchi imprenditori, star del calcio, della tv, intellettuali, che hanno conti all’estero e che invece di far fruttare la ricchezza investendola nel loro Paese o pagare le tasse, accumulano altrove. Comportamento eticamente e giuridicamente esecrabile, ma finisce qui. Se però a nascondere i soldi all’estero e a fare azioni volte a impedire allo Stato di agire, è un rappresentante delle istituzioni, uno che è stato sindaco, deputato regionale, segretario regionale del Pd, due volte parlamentare, allora è eticamente condannabile. Stiamo parlando di una somma dovuta al fisco di 25 milioni di euro, di un sequestro preventivo da 30 milioni di euro su un patrimonio da 100 milioni di euro. Una cifra che i 240 mila residenti a Messina non potrebbero guadagnare neanche reincarnandosi decine di volte a testa.
Un politico ha il dovere di investire queste somme nella sua terra. Se ricevi tanto dalla tua terra dovresti imparare a dare tanto. Se sei un rappresentante delle istituzioni devi rispettare la legge ed essere da esempio. Puoi batterti contro un fisco che ritieni iniquo e magari proporre nuove norme, ma devi rispettare quelle che già ci sono.
Mastroeni si sofferma poi su come lo stesso Genovese abbia raccontato i metodi per portare cifre notevoli in contante dalla Svizzera a Roma “attraverso spalloni, riceverli in alberghi, di nascosto, scambiando parole convenzionali, una sorta di 'apriti sesamo' che ricorda la favola di Ali' Baba' e i 40 ladroni, occultare e usare scorrettamente tali soldi. La frase che piu' colpisce questo giudice e' che tante spese avvengono 'Facendo politica ovviamente'. Poi si parla genericamente di regali ai matrimoni, ma otto milioni richiederebbero partecipazioni a matrimoni in tutta Italia, forse Europa".
Ho provato tristezza nel leggere la prima frase da neo deputato di Luigi Genovese: “dimostrerò la mia innocenza”. Un ragazzo che si appresta a essere componente del Parlamento più antico d’Europa, che fa i suoi primi passi in politica non dovrebbe essere messo nelle condizioni di pronunciare quella frase terribile.
Una dinastia ricchissima e potente, con un giovane che si affaccia alla vita, anche se vuol tutelare il proprio patrimonio ad ogni costo, avrebbe potuto fare altre scelte. Fargli vivere i suoi 20 anni, mandarlo a vivere e studiare da solo, spedirlo in giro per il mondo a far master, o a divertirsi, a studiare, a fare esperienza. Un anno sabbatico. Oppure, rientrato, mettergli a disposizione quei famosi 8 milioni per costruire una nuova impresa qui, nella quale dare occupazione vera (non tre mesi in odore di campagna elettorale) a decine di coetanei. Fare cose che mettono radici.
C’è un tempo per tutto, un tempo per ridere, per ubriacarsi, per andare contro il volere dei genitori, vivere soli all’estero e imparare a stirare le camicie.
Ogni cosa dovrebbe avere il suo giusto tempo.
Auguro a Luigi Genovese non soltanto di dimostrare la sua innocenza ma di non dover mai più pronunciare questa frase nella sua vita.
Se c’è una grave responsabilità che la famiglia Genovese ha è l’aver messo Luigi nelle condizioni di dover dire quella frase che tante, troppe volte, ho sentito.
Ci sono accadimenti evitabili. Come Musumeci ben sa, ci sono comportamenti che hanno un rilievo etico anche quando non giuridicamente rilevante, e come ben sa, la sua coalizione potrebbe avere delle falle. Farebbe bene a riflettere ed a scegliere senza farsi condizionare da nessuno e da niente.
Al presidente auguro di ricordarsi che non si torna indietro.
Rosaria Brancato