E’ quanto mai intricata la matassa nella quale è ingarbugliato l’iter per la realizzazione del secondo Palazzo di Giustizia. Un procedimento che si è “incartato” più volte fin dal principio e che oggi si ritrova sostanzialmente stoppato dal Cga, che ha accolto l’istanza di sospensione richiesta dai legali della Neptunia Spa, la società della famiglia Franza che per una manciata di punti non si è aggiudicata l’appalto. La commissione giudicatrice del Comune, infatti, il 20 luglio scorso aveva preferito l’offerta presentata dalla Gmc srl insieme alla S.a.s. Placido Raffone e alla Dino srl. Un’offerta più volte contestata non solo dalla Neptunia, ma anche dalla Curia Arcivescovile, già nel corso delle valutazioni della commissione. E’ bene chiarire che la sospensiva del Cga non dice che tutto va “cestinato”, ma che sulla questione vale la pena entrare nel merito. Cosa che, secondo il Tar, che si era pronunciato l’11 novembre scorso, non era opportuna in quanto, affermava il giudice, «l’interesse pubblico, legato ad un consistente finanziamento pubblico concesso per l’acquisto degli immobili, deve essere considerato prevalente rispetto a quello privato». Il finanziamento in questione è concesso nel 1995 dal ministero della Giustizia per 12,4 milioni di euro, successivamente integrato nel 2004 con ulteriori 5,5 milioni. Un finanziamento che rischiava di essere revocato. Così scriveva, nel marzo 2009, il ministero al Comune: «Nonostante gli anni trascorsi, i fondi in questione non risultano in alcun modo impegnati, né è stata intrapresa alcun tipo di opera». Sostanzialmente il ministero dava un “ultimatum” a Palazzo Zanca: entro 6 mesi l’Amministrazione avrebbe dovuto o «attuare i progetti a suo tempo presentati» oppure «formulare concrete proposte di utilizzo immediato» di quei fondi.
Ed è proprio su questo punto che si basa parte del ricorso presentato dei Franza. Secondo i legali, infatti, è lo stesso Comune, con una successiva nota inviata a Roma, a riconoscere «di aver compiutamente avviato e posto in essere una concreta proposta di utilizzo dei fondi assegnati» già con la pubblicazione del bando, alla quale poi sono succedute le offerte di Gmc, Neptunia, Curia e Formula 3. In parole povere, il rischio di perdere quei fondi non c’è più dal momento in cui è stato pubblicato il bando. Entrando poi nel merito della questione, vediamo perché, secondo la Neptunia, l’offerta della Gmc non solo non andava “premiata”, ma non doveva nemmeno essere presa in considerazione. «Gli atti del Comune – scrivono i legali nel ricorso – indiscutibilmente rivelano un agire non conforme ai principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, oltre che al generale principio di correttezza dell’azione amministrativa». In quel bando, infatti, venivano esposti alcuni requisiti la cui inosservanza avrebbe rappresentato «motivo di esclusione» dell’offerta: si chiedevano edifici già costruiti, da adeguare, da ristrutturare o adattabili alle esigenze; una superficie commerciale tra i 5000 e i 10000 metri quadri (escluse eventuali aree esterne e parcheggi); che l’immobile venisse consegnato al più tardi entro il 10 settembre 2009, termine definito «insuperabile ed essenziale».
Nel ricorso la Neptunia illustra in vece l’offerta della Gmc: un complesso di tre immobili, «in larga parte realizzato solo allo stato rustico, solo con le mura esterne», con la ditta che si mostrava disponibile ad eseguire la ristrutturazione «entro 120 giorni dalla stipula del preliminare», dunque, osservano i legali, sicuramente dopo il 10 settembre. In realtà la commissione avrebbe ammesso la Gmc con riserva solo «interpretando in maniere estensiva il bando», scrivono gli avvocati dei Franza, basandosi non sullo stato dell’immobile offerto ma del progetto relativo alla sua ristrutturazione, quello sì rispettante i requisiti minimi richiesti. Sempre gli avvocati scrivono che «non è dato comprendere come sia stato possibile» che la Gmc abbia ottenuto lo stesso punteggio delle altre ditte anche alla voce inerente «la reale possibilità di utilizzare l’immobile nei tempi previsti nel bando». Altro punto “oscuro”. Per dare via libera all’aggiudicazione alla Gmc era necessario il nulla osta del consorzio Asi per il cambio di destinazione d’uso. Ma il 25 agosto scorso così scriveva l’Asi: «il progetto non presenta i requisiti minimi di ammissibilità contemplati dalle vigenti norme tecniche d’attuazione del Prg Asi». Così il nulla osta veniva negato.
E il Comune? Il 10 dicembre scorso, nella stessa riunione di giunta in cui veniva dato incarico all’avv. Mariangela Ferrara del Collegio di difesa di rappresentare Palazzo Zanca al Cga, approvava lo schema di contratto preliminare di compravendita con la Gmc. Anche l’Amministrazione, nei mesi scorsi (il 2 agosto e il 2 ottobre) aveva avuto una relazione epistolare con l’Asi circa il nulla osta, e anche in questa occasione l’Asi aveva ribadito che l’istanza per il cambio di destinazione d’uso non era accoglibile. Problematica che però, si legge nell’ultima nota inviata dall’Asi a Palazzo Zanca, «potrebbe trovare soluzione con la redazione di una apposita variante al Prg che destini le aree prescelte dal Comune a uffici di diretto interesse del Comune, sulla base di espressa richiesta del Comune e nell’interesse pubblico del Comune stesso». La storia si fa sempre più intricata. E dopo quasi quindici anni del Palagiustizia satellite non c’è ancora ombra.