Proprio nel momento in cui sembra nascere un nuovo governo, più di 60 giorni dopo le consultazioni del 4 marzo, dobbiamo riconoscere la necessità (direi anche l’umiltà) di chiedere scusa al nostro popolo, ai nostri iscritti e all’Italia.
Chiediamo scusa se dopo 5 anni di governo del PD non siamo stati in grado di far passare un messaggio positivo delle cose che abbiamo fatto; chiediamo scusa se il Paese è più diviso che mai, se un populismo galoppante sta andando al Governo. La rabbia diventata protesta e la protesta mai diventata proposta sta diventando Governo. Proprio per questo, proprio adesso, c’è un passaggio indispensabile da compiere prima di tutti gli altri: riconoscere che la responsabilità non è degli altri, è nostra.
L’Italia è il Paese in cui l’autocritica non è parola contemplata nel vocabolario, il Paese in cui la colpa non è mai di nessuno, semmai appartiene ad un altro. In Italia fior fiore di furbi intellettuologi, commentatori delle cronache quotidiane hanno in mano tutte le soluzioni in grado di risolvere problemi di una complessità assurda.Il pressapochismo, la disonestà intellettuale, le porcate politiche, all’infuori di ogni regola di correttezza democratica e dialettica, sono normalità in un Paese in ginocchio sotto il profilo culturale prima ancora che economico.
L’assenza di confronto, di qualsivoglia dibattito politico, la mancata conoscenza, l’ignoranza rispetto a temi essenziali per lo sviluppo di una comunità è benzina sparsa su un focolaio sempre ben alimentato.Così, proprio in questa primavera che vede sbocciare un governo dalla preoccupante deriva populista, bisogna assumersi le proprie responsabilità.
Facciamoci portavoce di aria nuova, di un nuovo modo di concepire l’impegno per il Paese e per le nostre comunità; impariamo ad essere classe “diligente” prima che “dirigente”, ricominciamo a parlare con la gente per capire i loro problemi, le loro angosce e le speranze deluse per tradurle in soluzioni. Ricominciamo dal basso, dalle periferie, dai mercati, dalle scuole, dalle fabbriche. Torniamo ad ascoltare e a dare voce.
La parola d’ordine deve essere “cambiare linguaggio”. Siamo in costante campagna elettorale, sempre! Ed è anche attraverso un linguaggio sporco, di cui la storia politica d’Italia non ha memoria, che si sta disgregando e smantellando quell’unità sociale di cui un Popolo, una Nazione ha invece estremo bisogno. Non dobbiamo parlare il linguaggio degli altri, che denigrano e distorcono, ma dobbiamo parlare la nostra lingua, semplice, diretta, efficace, una lingua che magari non parla alla “pancia”, ma alla testa del Paese reale.
Per questo noi che crediamo nei valori contenuti nello Statuto del Partito Democratico, noi che crediamo che il PD possa tornare a rappresentare e difendere una larghissima parte di cittadini italiani, noi che pensiamo che il Partito Democratico debba Governare l’Italia, sottoscriviamo un appello rivolto a tutti i giovani che credono nella politica affinché s’impegnino ognuno con le proprie idee e le proprie capacità, nel rispetto degli ideali di tutti, a non mollare, ad essere democratici, umili, coraggiosi, resilienti e forti.
Ripartiamo.