Le già scarne casse di Palazzo Zanca tremano e rischiano la bancarotta. A provocare una scossa tellurica di inimmaginabili proporzioni sono due ricorsi presentati al Tar rispettivamente dal curatore fallimentare del “fu” F.C. Messina, Domenico Cataldo, e dalla Mondo Messina Service, ramo d’azienda della famiglia Franza costituito per il 90 per cento dello stesso F.C. Messina e per il 10 per cento dalla Co.fi.mer., la finanziaria del gruppo armatoriale che fino a pochi anni fa rappresentava il calcio a Messina. Oggetto del contendere, manco a dirlo, gli stadi San Filippo e Celeste e quella famosa convenzione per lo sfruttamento commerciale degli impianti che continua a perseguitare l’amministrazione comunale. Sia la curatela fallimentare che la Mondo Messina Service hanno chiesto al Tar l’annullamento della delibera 34/c con la quale il consiglio comunale, il 22 luglio scorso, (facendo leva sui pareri legali dell’avv. Giuseppe Mazzarella e del collegio di difesa) revocò l’accordo procedimentale tra Comune e F.C. Messina. In più viene reclamato un cospicuo risarcimento danni. Che nel primo caso si quantifica in 60 milioni di euro e nel secondo addirittura in 80 milioni, anche se solo uno dei due potrà essere accolto, qualora il Tar dovesse ritenerlo opportuno. Non certo spiccioli. Anzi, è bene dire subito che qualora un risarcimento del genere dovesse venir riconosciuto dal Tar, l’indomani Palazzo Zanca, che nel procedimento è difeso dal presidente del collegio di difesa Francesco Marullo, potrebbe chiudere bottega.
L’ASCESA E LA CADUTA IN CAMPO, IL PROJECT FINANCING E IL FALLIMENTO
Nel ricorso della curatela fallimentare il Comune viene accusato di «inadempimento rispetto alle obbligazioni contratte con l’F.C. Messina» (richiamate, a questo proposito, le delibere del 2005 e l’ultima del commissario Sinatra del 2008) e della «illegittimità dell’inerzia relativamente alla procedura di project finance». La proposta di project financing, lo ricordiamo, arrivò dal Messina il 30 giugno 2004, sulla scia della promozione in serie A che aveva mandato in visibilio tutta la città. Un progetto che prevedeva il cosiddetto “centro sportivo bipolare Celeste – S. Filippo”. Un anno dopo (agosto 2005), con il Messina sempre più in alto (settimo posto in serie A, dopo vittorie prestigiose contro Roma, Milan e Inter), il consiglio comunale si esprimeva favorevolmente sull’interesse pubblico e nel marzo 2006 veniva stipulato l’accordo procedimentale. Con quest’ultimo atto «il Messina conferiva alla Mondo Messina Service il ramo d’azienda relativo alle attività collaterali a quelle sportive, trasferendo così ad un soggetto non vincolato dalle previsioni della normativa della Figc per le società calcistiche tutte le attività imprenditoriali relative alla gestione degli stadi sotto il profilo commerciale ed immobiliare». Passaggio, quest’ultimo, centrale per entrambi i ricorsi.
In seguito l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici manifestava forti perplessità al Comune su entrambi i tipi di concessione, quella sportiva (in seguito ritenuta «conforme al principio di ragionevolezza» dalla stessa Autorità), e quella che potremmo definire “commerciale”, non essendo giunta in seguito ad una procedura di evidenza pubblica ma con affidamento diretto. A questo proposito veniva citato l’esempio di quanto accaduto tra la Juventus e il Comune di Torino per lo stadio Delle Alpi: affidamento diretto per la gestione sportiva, con la previsione che, in caso di progetti di riqualificazione dell’area, si procedesse tramite evidenza pubblica. Nel frattempo le sorti del Messina peggioravano sempre di più, fino al patatrac: retrocessione in serie B nell’estate 2007, salvezza nel 2008 e decisione dei Franza, in quell’estate, di non iscrivere la squadra al campionato cadetto. Il 21 novembre 2008 il Tribunale dichiarava il fallimento dell’F.C. Messina, designando Cataldo curatore fallimentare. Sette mesi dopo (nel mezzo interveniva anche l’inchiesta della Procura) arrivava la contestata delibera del consiglio comunale, con la quale si annullava l’accordo procedimentale.
LA CURATELA: «ECCESSO DI POTERE DA PARTE DEL COMUNE»
«Eccesso di potere». Questo uno dei “capi d’accusa” mossi dalla curatela fallimentare al Comune. In particolare, secondo i legali che hanno esteso il ricorso, è stato erroneamente interpretato l’intervento dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, le cui perplessità riguardavano «il solo profilo della esecuzione di lavori pubblici, quali certamente sono quelli di completamento, ampliamento, ristrutturazione e trasformazione degli impianti sportivi comunali». Ma l’accordo procedimentale, è questo il nodo, non attribuiva al Messina «il diritto di godere dei proventi delle opere realizzate, ma riconosciuto solo quello di stipulare con il Comune un contratto di sponsorizzazione, oltretutto da contrarre non per forza con il Messina, ma con la squadra di calcio militante nella serie superiore». Ma in ogni caso, si legge ancora nel ricorso, «l’accordo integrativo avrebbe ben potuto essere emendato in modo da risultare del tutto conforme ai rilievi sollevati dall’Autorità», invece il Comune non avrebbe «preso in considerazione né l’interesse del Messina né le ragioni di interesse pubblico». E ancora: la curatela afferma che la legittimità del richiamo ad un atto di un soggetto del tutto estraneo alla Pubblica amministrazione, il parere dell’avv. Mazzarella, fa sorgere «più di un dubbio», configurando più in generale una carenza di motivazioni indicate nella decisione di revocare l’accordo procedimentale. Né viene considerata una motivazione congrua la mancata iscrizione del Messina ad un campionato professionistico: «un errore in quanto le vicende soggettive della società non costituiscono certo vizio di legittimità dell’accordo procedimentale». Tutti motivi, questi, che portano la curatela a chiedere un risarcimento danni, danni derivanti dalla «mancata possibilità per il Messina di sfruttare la concessione di uso e gestione degli stadi, nonché dei servizi accessori, con conseguenti minori introiti pari agli utili non realizzati». In cifre: 60 milioni di euro.
LA SOCIETA’ DEI FRANZA: «LA TITOLARE DELLA CONCESSIONE E’ LA MONDO MESSINA SERVICE. IL FALLIMENTO? AVVENUTO ANCHE A CAUSA DEL COMUNE»
Il ricorso presentato dalla Mondo Messina Service che, lo ricordiamo ancora, è il ramo d’azienda della famiglia Franza al quale l’F.C. Messina aveva affidato «le attività collaterali a quelle sportive», segue bene o male la stessa falsariga di quello della curatela. Anche qui si parte dalle osservazioni dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, evidenziando che nonostante quest’atto, «il Comune di Messina ometteva di prendere posizione in merito, confermando appieno i provvedimenti già emessi». Ma il vero nodo, secondo la società della quale legale rappresentante è Enzo Barilà, è che la vera titolare della concessione degli stadi non è l’F.C. Messina, effettivamente fallito come da sentenza del Tribunale, ma la Mondo Messina Service, «rimasta “in bonis” ancorché, nella sostanza, controllata dalla curatela fallimentare», motivo per cui la delibera di revoca del consiglio comunale «è illegittima». Inoltre, anche secondo la Mondo Messina non ci sarebbero state le giuste motivazioni a revocare l’accordo: in particolare a mancare sarebbe «un interesse pubblico», mentre, riguardo i pareri legali, «non si specifica per quale ragione essi dovrebbero prevalere sulla pregressa attività procedimentale dello stesso Comune». Sbagliato, peraltro, uno dei presupposti da cui muovono i pareri, ovvero «che la società avrebbe dovuto essere titolare di una squadra di calcio militante tra le primissime serie professionistiche»: presupposto bollato come «privo di ogni riscontro». Come inutilizzabile è il presupposto del fallimento del Messina: primo perché, come detto, viene considerata la Mondo Messina la società titolare della concessione degli stadi; secondo perché il fallimento stesso, secondo i legali, «rappresenta la conseguenza diretta ed immediata dei notevolissimi ritardi frapposti dall’amministrazione comunale nell’attuazione dell’accordo di programma». Il Comune, in sostanza, sarebbe tra i responsabili del fallimento della società e, anzi, la revoca dell’accordo procedimentale viene visto come «una sorta di punizione per non avere iscritto la squadra al campionato di serie B». Secondo la Mondo Messina Service, che chiede un risarcimento di 80 milioni, «al danno si è aggiunta la beffa: il Comune ha inteso “punire” la società che, dopo un travagliato percorso amministrativo ed il legittimo affidamento riposto nel buon esito del procedimento e negli effetti economici favorevoli che ne sarebbero dovuti conseguire, si era vista costretta a ritirare l’iscrizione della squadra dal campionato di serie B».