Caro direttore, leggo con molto interesse le riflessioni di Donna Sarina. Quella di domenica mi ha fatto ricordare episodi molto remoti. Nel 1961, per motivi di studio, mi trovavo a Torino e, camminando per le vie della città, mi faceva male leggere, una porta si ed una no, gli spregevoli cartelli “NON SI AFFITTA A MERIDIONALI”, mentre i giornali, naturalmente non LA STAMPA, riportavano dei gravi infortuni che, purtroppo, vedevano quasi sempre protagonisti meridionali o sindacalisti della CGIL e della CISL, (gli Agnelli si erano già confezionato il sindacato “giallo”) esiliati nei reparti più pericolosi.
Allora decisi, non potendo fare altro, di andare al campo per tifare contro la Juventus. Era il 10 giugno e si doveva ripetere la partita Juventus-Inter, ma grande fu il mio sconcerto quando invece della squadra titolare apparvero i ragazzini della “De Martino”, come allora si chiamava l’attuale Primavera, allenati dal grande Giuseppe Meazza.
Che cosa era successo: il 16 aprile 1961, si era giocata, a Torino, la partita Juventus-Inter, quest’ultima allora allenata da Helenio Herrera, e poiché le tribune del Comunale erano stracolme, molti spettatori si sistemarono a bordo campo per cui, al 31’, l’arbitro genovese Gambarotta, decise di interrompere il gioco. Il regolamento era abbastanza chiaro, per cui la vittoria doveva essere attribuita alla squadra ospite. Ed infatti alcuni giorni dopo la Lega assegnò il 2-0 all’Inter.
Ma il 3 giugno, alla vigilia della domenica conclusiva del campionato, la Caf accolse il reclamo della Juve e decise che la partita andava rigiocata. Ovviamente in tale decisione era stato determinante il ruolo di Umberto Agnelli, presidente della Juve ma anche della Federcalcio. Un infuriato Angelo Moratti decise che nella ripetizione della partita, il 10 giugno, l’Inter, per protesta, avrebbe lasciato a casa i titolari e schierato la squadra De Martino.
Tutti sanno come finì, 9 a 1, con sei gol di uno scatenato Sivori, che aspirava al pallone d’oro, e nonostante Charles che gli ricordava che giocava contro dei ragazzini, mentre quello dell’Inter venne segnato da Mazzola su calcio di rigore. Naturalmente io non ebbi alcun modo di tifare. Per dimostrare che la famiglia Agnelli ha sempre pensato ai propri interessi e non al bene del Paese è sufficiente ricordare che tipo di sviluppo abbiamo avuto, autostrade e gommato, a fronte della cenerentola Ferrovie dello Stato.
Grande fu la mia gioia quando lessi sui giornali, anche sulla nostra Gazzetta del Sud, la replica di Donat Cattin prima dell’approvazione dello Statuto dei lavoratori: “Questa legge viene promulgata anzitutto contro gli Agnelli.” E’ appena il caso di ricordare che contro questa legge, fortemente voluta dal socialista Brodolini e, poi, dal democristiano Carlo Donat Cattin,votarono contro o si astennero i comunisti, che la ritenevano inutile giacché ritenevano che i contratti di lavoro erano più che sufficienti.
Giuseppe Pracanica