La Preistoria è un periodo che per la gran parte delle persone risulta fumoso, sfuggente, e non potrebbe essere altrimenti. Tuttavia le varie ricerche nel panorama mondiale hanno sempre più empito le pagine vuote della storia umana e lo stesso è avvenuto per Messina, che vanta un’origine ancora più remota di quella usualmente invocata (757 a.C.). Per il nostro storico Franz Riccobono la Preistoria peloritana è materia vista con i propri occhi e che egli stesso in prima linea ha potuto investigare e studiare, perciò abbiamo voluto discuterne assieme per offrirvi una veduta su quest’argomento: ecco qui per voi quanto emerso dalla nostra conversazione (resa nell’alternanza tra grafia regolare e corsiva).
Le prime tracce di frequentazione umana nell’area dello Stretto risalgono in Calabria al Paleolitico superiore, con il ritrovamento della mandibola neanderthaliana di Archi ritrovata da Adolfo Berdar e studiata da Aldo Giacomo Segre e Antonio Ascenzi. Sul versante siciliano dello Stretto invece i ritrovamenti più antichi sono databili al tardo Neolitico, con le ceramiche e l’industria litica ritrovata nelle dune tra Ganzirri e Capo Peloro – informazioni dettagliate sono reperibili nella pubblicazione Eneolitico di facies Piano Conte a Ganzirri (Messina) di Franz Riccobono, Laura Bonfiglio e Italo Biddittu in Sicilia Archeologica.
Il primo insediamento intorno al porto falcato è databile tra la prima e la tarda Età del Bronzo (2500-1050 a.C. circa, in Sicilia). Il primo ritrovamento in strato avvenne presso l’isolato 172 del piano regolatore, fronte Via XXVII Luglio, nel 1967 a opera dei ricercatori del Circolo Archeologico Codreanu (poi confluito nell’Associazione Amici del Museo di Messina), gruppo che ha operato oltre sessanta ritrovamenti in ambito urbano su incarico a suo tempo affidatogli dal professor Luigi Bernabò Brea, al tempo Sovraintendente alle Antichità della Sicilia orientale, con sede a Siracusa.
Cosa fu trovato in quel sito? Erano oggetti in ceramica malcotta e poco depurata, prodotta senza tornio, industria litica in selce e ossidiana e manufatti realizzati in osso, tra cui una tibia di cervo servita a realizzare un flauto (un solo foro e all’interno una pietruzza che modulava il suono). Sembrerebbe proprio uno strumento antenato de lu friscalettu!
Oltre le prove d’una frequentazione, quali sono i primi segni d’insediamento? Quali erano i nuclei dai quali cominciò il nostro sviluppo urbano? I successivi ritrovamenti fatti in zone dell’attuale centro abitato dimostrano che ancorché in fasi alterne l’insediamento umano d’età preistorica a Messina si estende da Provinciale al limite settentrionale di Poggio Paradiso presso la foce del torrente Annunziata, dove avvennero significativi ritrovamenti i cui reperti sono oggi esposti nella sezione archeologica del MuMe. Fuori centro vanno segnalati ulteriori ritrovamenti nella parte alta della valle di Gravitelli (dove ci sono resti di sepolcri a grotticella o a forno) e nella parte alta della Santissima Annunziata presso contrada Ciaramita e ancora più in alto sulla cima di Monte Tidora dove rimangono tracce di un vasto insediamento fortificato da cui si controllava il circostante territorio sia sul versante dello Stretto che su quello tirrenico essendo posto lungo il crinale peloritano sino a raggiungere Monte Ciccia.
È sorprendente soprattutto l’esistenza in quel tempo di una sorta di cittadella. Francesco Maurolico computò la vera fondazione di Zancle nel 1759 a.C.; si può dire che questa datazione non sbagli di molto! Come se la memoria si fosse miracolosamente conservata. Malgrado i tanti elementi raccolti purtroppo la presenza di un insediamento pregreco resta ignorata da gran parte dei Messinesi – ammette Riccobono.
Presso l’isolato 135 è stata riportata alla luce una porzione della necropoli – zona disabitata in quell’epoca in quanto sottoposta alle alluvioni del torrente Camaro –, ove sono stati ritrovati pithoi (giare per l’immagazzinamento di semenze e liquidi, pezzi già più raffinati). Nello stesso sito della necropoli fu pure trovata un’ara votiva circolare a suo tempo fotografata, disegnata e portata all’allora Museo Regionale. Sfortunatamente, tale primitivo altare da quel momento è andato quasi del tutto perduto.
Non è l’unico reperto di rilievo dal punto di vista religioso, anzi, ve n’è uno particolarmente evocativo. È importante il ritrovamento di un idoletto fittile di una dea madre consegnato dai ritrovatori del Codreanu al museo che purtroppo non appare tra i reperti preistorici esposti nella sezione archeologica. Si tratta di una donna seduta che ha ventre rigonfio e seni abbondanti, con testa e braccia rottesi nel tempo, di cui rimangono documentazioni fotografiche.
L’evidenza archeologica fa comprendere come esistesse in remoto (ed esiste tuttora) un’unica società peloritana e se vogliamo un’unica cultura peloritana, prima ancora di Messina o di Ganzirri o qualsivoglia abitato, snodata ieri come oggi per la rete d’insediamenti dell’intera area siciliana dello Stretto. È bello, ed è qualcosa che dobbiamo interiorizzare.
Ringraziamo Franz Riccobono per la condivisione di queste pregevoli conoscenze.
Daniele Ferrara