Già con “Mafia export” (Dalai Editore, 2009) aveva tracciato uno spaccato sulla vita economica nazionale così corrotta dalla ‘ndrangheta e, in questo nuovo libro, Francesco Forgione, esponente di Sel ed ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, muove le fila di una nuova storia che parte dalla Piana calabrese, dal porto di Gioia Tauro in particolare, ma si proietta in tutto il mondo. È una globalizzazione criminale quella che le mafie sfruttano per imporre la loro legge e centro di illeciti scambi di favore, di raccomandazioni, di pressioni e intimidazioni è il Porto di Gioia Tauro. Un porto conteso già nella Magna Grecia da Locri e da Reggio e oggigiorno costantemente al centro di indagini della magistratura. “Porto Franco” (Dalai Editore, 2012) è stato presentato Martedì 17 al Circolo Pickwick e, a dialogare con l’autore, c’erano la giornalista Angela Corica e il Procuratore aggiunto della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Michele Prestipino.
Il titolo, nel suo senso più ampio, rievoca l’idea di una terra di nessuno dove uno spesso cono d’ombra permette ai criminali di condurre indisturbati i loro affari. La storia del porto di Gioia Tauro è infatti emblematica: fortemente voluto come compensazione politico-economica dopo i fatti di Reggio del ’70, alla posa della prima pietra sono presenti sia la politica e il potere locale sia i boss, e quello che si vede oggi rappresenta il frutto del perverso intreccio tra ‘ndrangheta e politica, tra ‘ndrangheta e imprenditoria.
Quando pensiamo al porto di Gioia Tauro, c’è una parola che ci viene subito in mente ed è ‘cocaina’. Solo nel periodo marzo 2011-giugno 2012 sono stati sequestrati all’ingresso del porto oltre due tonnellate e mezzo di polvere bianca. Eppure, ha sottolineato il procuratore Prestipino, questo non è l’unico dato allarmante. Le intercettazioni hanno ricostruito una storia che sa dell’incredibile: un’organizzazione cinese era entrata in contatto con alcuni imprenditori della Piana (che sono la proiezione senza macchia degli ‘ndranghetisti) assicurandosi il monopolio sullo scarico di merce contraffatta, facendo realizzare ad entrambe le parti dell’accordo immensi introiti di denaro. Merce che, come la cocaina, non si ferma certo in Calabria ma arriva in tutta Europa. Ecco che risulta ben chiara qual è la portata del problema.
Forgione, in questo libro, racconta, in una lucida analisi, tante storie che fanno somigliare il suo lavoro quasi ad un noir. Presenta una serie di episodi, a volte di una tragica ironia, come quando riferisce di quei due imprenditori che, per telefono, si mettono d’accordo facendo i propri interessi: uno è il referente delle cosche calabresi e l’altro lavora per conto di una delle ditte del porto. Alle perplessità di quest’ultimo circa la fattibilità dell’accordo che prevede che all’ndrangheta vada un euro e cinquanta a container (che moltiplicato per i milioni di containers significa una cifra immensa) in cambio di alcuni favori, l’altro risponde che non c’è nulla di cui preoccuparsi dato che loro, gli uomini da cui dipende, hanno conoscenze e contatti in ogni ufficio della Calabria e che, abbattendo ogni burocrazia, sono in grado di «snellire le procedure».
C’è però anche spazio alla positività: negli ultimi anni ci si è mossi bene per cui il porto di Gioia Tauro è diventata anche la fotografia del come fare bene. L’ndrangheta cosa vuole fare? Tenere insieme pezzi diversi della società ma utili ai loro fini. «Noi – ha sentenziato Prestipino – quindi dobbiamo cercare di azzerare, o quanto meno di colpire le cosche nella loro struttura militare ed economica e disunire questi pezzi». (CLAUDIO STAITI)